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Occorre inciampare nella memoria

I fatti di Pomezia, le scritte antisemite all'esterno della scuola e il ruolo dell'insegnamento perché ciò non accada più

Negli ultimi giorni Pomezia è stata sotto i riflettori della stampa nazionale per le vicende legate alle scritte antisemite (“Anna Frank brucia” e “Ore 15,30: parlate delle foibe”) comparse sui muri della scuola in cui insegno: l’IIS «Largo Brodolini», proprio qualche ora prima che si svolgesse una manifestazione dedicata al Giorno della Memoria il 12 febbraio. Il giovane volto sorridente di Anne Frank che circonda una stella di David, opera dell’artista ebreo Georges de Canino, era stato scelto per la locandina che pubblicizzava l’evento delle 15,30 patrocinato dal Comune di Pomezia e dalla Comunità ebraica di Roma. L’iniziativa era solo uno step di un progetto più ampio che si articola in diverse fasi: la formazione docenti (iniziata a gennaio e che si concluderà in maggio, cui partecipano circa 80 persone, compresi rappresentanti di associazioni culturali del territorio); laboratori didattici per gli alunni, fino ad una mostra sulla razzia del ghetto di Roma, curata dalla Fondazione museo della Shoah di Roma, che sarà ospitata dal 5 marzo nei locali della scuola e che sarà aperta al territorio pometino. A tutto ciò va aggiunto un progetto sulla Resistenza dal titolo «I volti e i nomi delle resistenze», con la collaborazione del Museo Storico della Liberazione di via Tasso e dell’ANPI «sezione Teresa Mattei e le altre», di Pomezia. 

Non mi sono sfuggite le parole del sindaco di Pomezia, intervenuto al convegno anche per sottolineare la posizione dell’Amministrazione comunale rispetto ai fatti accaduti, che in un passaggio ha detto che la città sta «cambiando pelle». 

Pomezia, definita come «porta di accesso della Capitale al territorio “redento”», fu fondata il 3 giugno 1938 con un Regio Decreto Legge n° 935; era l’ultima città dell’Agro Romano che insieme ad Aprilia, faceva parte del Consorzio n°5 che fu aggregato alla Bonifica dell’Agro Pontino. Fermarsi ad una ricostruzione storica che si limitasse a ricordare le famiglie di coloni che ricevettero in dono dal Duce gli appezzamenti di terre e i connessi privilegi sarebbe parziale; occorre ricostruire quei delicati passaggi che danno la misura di ciò che ancora oggi è il tessuto sociale di Pomezia, terra di continue emigrazioni che fa fatica a costruire la sua identità territoriale.

Negli anni successivi all’immediato dopoguerra a Pomezia – che tra l’altro è stata un’importante base di passaggio nella rotta della fuga dei nazisti che dalla Germania scappavano in Spagna e in America Latina – ci sono state le emigrazioni provenienti dal confine orientale, ovvero l’esodo giuliano dalmata, una diaspora di esuli protagonisti, con ritmi e sfumature diversi, di partenze consistenti e continue che coinvolse l’intero territorio nazionale italiano. Poi c’è stata l’emigrazione degli italo-tunisini che seguì l’indipendenza della Tunisia avvenuta negli anni ‘50 e poi quella dalla Libia, dopo il colpo di stato ad opera di Gheddafi. Negli anni ‘80 e ‘90 una potenziale crescita del sostegno alla destra neofascista sul territorio di Pomezia è stata rappresentata dall’emigrazione dei nuovi profughi russi e rumeni. Infine, c’è l’immigrazione di quelli come me, che per motivi di lavoro, hanno lasciato la propria terra e approdano in una città in cui è difficile capire dove collocarsi.

Gli inopportuni attacchi rivolti alla scuola, sintetizzati in quelle scritte che alludevano ai contenuti dell’incontro del 12 febbraio, sono in linea con interpretazioni decontestualizzate, sostenute da una vulgata “populista” che rifiuta di prendere in considerazione quanto è accaduto dopo la caduta del regime fascista e durante la costruzione del regime comunista jugoslavo. Come improprio è l’accostamento della tragedia delle foibe alla Shoah. Le foibe sono una tragedia che conosciamo benissimo e che, sul piano morale, condanniamo senza alcun indugio e che dobbiamo ricordare. Tuttavia con onestà intellettuale, con rigore storico e attraverso uno studio critico delle fonti verificabili, occorre contestualizzare, sottolineando che gli italiani furono perseguitati o in quanto ex fascisti o in quanto oppositori alla costruzione dello stato comunista in Jugoslavia, e non in quanto italiani. Insomma, siamo di fronte a un disegno politico-ideologico che usa spregiudicatamente la storia per una nuova aggressività “nostalgica” di un tempo rispetto al quale, in Italia, non si è mai voluto fare i conti fino in fondo. Salvo risibili tentativi bipartisan di pacificazione nazionale in assenza di qualsivoglia reale e rigoroso approccio storico. 

La scuola è l’istituzione in cui si formano le generazioni: educazione e istruzione, ricerca e formazione che sono al tempo stesso umana e professionale. Colpire la scuola, significa colpire lo Stato, significa cercare di interrompere il lavoro che con passione e vocazione tanti colleghi e colleghe svolgono caparbiamente, come servitori dello Stato, ogni giorno, avendo la Costituzione italiana quale guida, accompagnando i propri allievi prendendosene cura nella consapevolezza di avere una grande responsabilità nella formazione degli uomini e delle donne cui affideremo il nostro mondo, nella speranza che possano portare i frutti sperati, che abbiano il sapore della responsabilità, del rispetto delle diversità, della pace tra i popoli, della riconciliazione.

Questo è alla base della manifestazione e della costruzione dell’intero progetto dedicato alla memoria, che riprendeva nel suo titolo una frase di rabbi Nachman di Breslav (1772-1810) «Dimenticare è alla base dell’Esilio, come la Memoria lo è della Liberazione». L’antisemitismo non è finito, tutt’altro, come dimostrano i dati recenti: gli atti di odio antisemita sono in netta crescita in tutta Europa. È come se l’antica bestia antisemita fosse sopita sotto la cenere, pronta a ritornare in auge nella nuova indifferenza e nella normalità di uno sdoganamento di un’idea violenta che diviene sempre più concretezza. «Occorre inciampare nella memoria», ha detto il pastore Luca Maria Negro, presidente della Fcei presente alla manifestazione, che ai presenti ha ribadito l’impegno della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia a contrastare tutte le forme di discriminazione anche a partire dalla “Settimana della libertà” dedicata quest’anno alla lotta contro l’antisemitismo, alle parole d’odio, ai pregiudizi e alle diffamazioni.

Il mio impegno come credente ed insegnante si gioca attraverso un fare scuola che sia rispettoso del volto dell’altro, che sappia educare alla bellezza e alla cultura, che sappia interrogare la storia e le sue pagine più scomode. Attraverso l’esperienza della parola che si fa verso poetico, ad esempio, i miei alunni hanno provato a misurarsi con una pagina vergognosa della nostra storia italiana ed europea del Novecento, facendo capolino nell’abisso che ha inghiottito le vite di milioni di uomini, donne e bambini. Quando l’orrore si trasforma in poesia allora occorre gioire, perché il seme della libertà ha dato i suoi frutti.

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