Grazia immeritata
28 gennaio 2015
Un giorno una parola – commento a Romani 6, 11
Il timore del Signore è odiare il male.
(Proverbi 8, 13)
Fate conto di essere morti al peccato, ma viventi a Dio, in Cristo Gesù.
(Romani 6, 11)
Il tema della libertà dal peccato e dalla morte viene trattato in modo più approfondito nell’Epistola ai Romani. Qui l’apostolo Paolo, dopo aver spiegato che tutta l’umanità è sotto il dominio del peccato, che si presenta come un padrone che ripaga i suoi schiavi, gli umani, con la morte, giunge a parlare della legge. Questa è data all’umanità per rendere manifesta la sua peccaminosità e, in contrapposizione, ci parla della giustizia di Dio che viene donata nella fede del Cristo crocifisso e risorto. Da questo momento in poi l’umanità è liberata dalla schiavitù del compiere le opere della legge e dai sensi di colpa per non fare abbastanza al fine della propria salvezza. Non c’è più bisogno di fustigarsi, di fare penitenze e opere votive, di camminare sulle ginocchia o di entrare attraverso portali di famose abbazie per meritare la salvezza. Dio ce la concede gratuitamente in Cristo. Le opere, che comunque non devono mancare, saranno solo il segno tangibile della nostra gratitudine al Signore della grazia.
Una grazia che giunge immeritata e inattesa all’umanità quando essa era ancora immersa nella palude del peccato. Questo è davvero il grande miracolo di Dio: il dono della grazia senza confini che viene concesso a un popolo “dal collo duro”. E questo dono viene sancito una volta per sempre anche per i credenti di tutti i tempi passati, presenti e futuri nella successiva resurrezione del Figlio crocifisso. Così, come i vecchi credenti sono morti in Cristo, all’interno o meno del sacramento battesimale, ora vivono pure nel Cristo risorto. La libertà dal peccato si associa al dono della nuova vita, della vita eterna. Ora i credenti sono diventati delle nuove creature, sono pronti a consacrare la loro vita al servizio del prossimo e ad essere santificati sotto l’azione dello Spirito Santo. Il credente resterà sempre giusto e peccatore allo stesso tempo (“simul iustus et peccator” di M. Lutero), ma ormai è chiamato a vivere all’unisono con Cristo stesso quale strumento di giustizia nelle mani di Dio.