Bambini in prima linea
16 gennaio 2015
Anche nelle file dei curdi si trovano minorenni che combattono in Siria
Un ragazzo curdo che non sembra avere più di 11 anni sta montando la guardia all’entrata di una base militare nel nord est della Siria. La parte bassa dei suoi pantaloni si trascina per terra e la sua camicia pende sulle sue spalle ossute e sta lì, piantato in una divisa troppo grande per lui, accanto a un fucile automatico Kalashnihov. Rifiuta di dare il suo nome e di dire la sua età, per paura delle rappresaglie.
Il dipartimento di Stato americano dichiara di essere preoccupato dall’uso di bambini soldati perché gli Usa stanno aiutando questi combattenti curdi che lottano contro i militanti dello Stato islamico in Siria, paracadutando armi e masteriale fornito dalle autorità irachene.
Le autorità locali si sono impegnate l’estate scorsa a ritirare tutti i circa 149 bambini soldati dalle file della principale forza armata curda, l’Unità di protezione del popolo (Gpj), ma il portavoce del gruppo, Redur Khalil, ammette che ce ne sono ancora alcuni nella sua truppa di 50.000 uomini, dispiegata nella zona. «Casi di bambini soldati esistono ancora, non è una cosa del tutto sconosciuta», dice, aggiungendo che è difficile sapere quanti ne rimangono.
La città siriana assediata di Kobane è un caso particolare «perché è oggetto di attacchi, di modo che non abbiamo avuto l’occasione di verificare se ci sono là dei minorenni che si battono», ha dichiarato Redur Khalil.
Ritorno alla base curda nella zona di Tel Hamis: un combattente di 15 anni afferma che il ragazzo che è di guardia al check-point ha la sua stessa età. Il che non giustifica nulla, dato che l’adolescente è comunque al di sotto dell’età legale per essere soldato (18 anni); il diritto internazionale vieta di coinvolgere bambini in scontri diretti, ivi compreso ai check-points. Mentre soldati più anziani guardano, l’adolescente che ha dato la sua età rifiuta di dire il suo nome, visibilmente spaventato. Nessuna cinepresa è autorizzata sulla base, o in qualsiasi posto in cui si possono vedere bambini soldati.
In un appartamento residenziale della periferia di Derik, nel nord della Siria, diecine di combattenti stanno curando le loro ferite. Fra loro si trova Naso, che soffre di due ferite per pallottola dopo scontri con il gruppo Stato islamico a Rabia, sul confine tra l’Irak e la Siria. Naso, che come gli altri ragazzi rifiuta di dare il suo nome per intero, ha detto di aver raggiunto le forze curde due mesi prima, dopo che i suoi due fratelli sono stati uccisi in battaglia. Allora, aveva 16 anni. Un soldato più anziano gli sussura qualcosa all’orecchio. «Oh, scusi, ho sbagliato, in realtà ho 19 anni!», corregge allora Naso precipitosamente.
Bambini indottrinati fin dalla loro più tenera età. Molti di questi bambini diventati soldati sono stati spinti politicamente e indottrinati fin dalla loro più tenera età dalle loro famiglie che sostengono i combattenti curdi, ha dichiarato Mehmer Balci, direttore del programma per il Medio Oriente nell’organizzazione umanitaria l’Appel de Genève, con sede in Svizzera, e che ha come scopo di proteggere i civili e i bambini nei conflitti armati.
Fra i 149 che sono stati ritirati dalle forze armate durante la scorsa estate, alcuni sono tornati a casa, ha detto Mehmet Balci. «Ma pensiamo che altri siano fuggiti... per probabilmente raggiungere di nuovo il Gpj», ha aggiunto.
Per combattere questo problema ricorrente, il governo autonomo autoproclamato della zona ha messo in piedi sei campi di allenamento allo scopo di ricevere bambini ritirati dalle file dei combattenti, e di proporre un orizzonte migliore a quelli che vorrebbero raggiungerli ma che sono ancora troppo giovani
Ma anche questi campi concepiti per gli adolescenti tra i 16 e i 18 anni, in cui imparano la lingua curda, la politica, i diritti delle donne e l’autodifesa, incontrano problemi. Galia Naamet, che è responsabile di uno di questi campi per i bambini soldati in una delle tre enclave curde di Siria, ha rivelato che bambini di 13 anni erano autorizzati a raggiungerli. «È importante capire che tutti sono stati influenzati dal Gpj, e che pertanto di modo è stato difficile chiudere le nostre porte a un certo gruppo sociale, in particolare a quelli che hanno meno di 18 anni», ha detto.
Essi si vedono come veri soldati. Ci sono però segni incoraggianti: diversi bambini sono stati ritirati dai combattimenti a Kobane per essere piazzati nei campi, ha aggiunto Galia Naamet. Hanno ricevuto nuovi vestiti: pantaloni tradizionali della marina e camicia viola, cosa che li distingue e fa vedere che non hanno raggiunto l’età legale per combattere. Quando questi bambini sono stati tolti dai luoghi di combattimenti, «abbiamo avutio reazioni forti», ha confessato, «è stato difficile far capire ai bambini le ragioni di questo. Essi si vedevano come soldati a pieno titolo, pienamente adulti».
(Traduzione dal francese di Jean-Jacques Peyronel)