Culto di Rinnovamento del Patto a Trieste
16 gennaio 2015
La consueta giornata delle chiese metodiste quest’anno è dedicata ai migranti e all’interculturalità
Domenica 25 gennaio alle 10,30 si svolgerà anche nella chiesa metodista di Trieste, come ogni anno, il Culto di Rinnovamento del Patto. In tale occasione tutte le comunità evangeliche della città si riuniranno in un culto comune, nella chiesa di Scala dei Giganti, per partecipare a questo momento così importante per i credenti metodisti e non solo.
Agli inizi della sua storia, infatti, il pastore John Wesley, di fronte alle difficoltà incontrate dal movimento metodista da lui fondato intuì la necessità di istituire un atto significativo, mediante il quale i convertiti potessero rinnovare l’impegno assunto al momento della conversione, richiamandosi al patto che Dio aveva stabilito con il suo popolo e che successivamente aveva rinnovato in Gesù Cristo. Nel 1755 Wesley tenne pubblicamente il primo di quei culti chiamati appunto «di Rinnovamento del Patto», e che ancora oggi le chiese metodiste celebrano all’inizio di ogni nuovo anno o in circostanze particolarmente solenni.
La liturgia usata da Wesley fu a lungo impiegata nelle chiese metodiste, aggiornata più volte fino al 1947. Tale liturgia culmina con l’atto d’impegno pronunciato all’unisono da tutti i membri dell’assemblea, in quanto è la comunità nel suo insieme a riconsacrarsi.
Ogni anno in questa occasione la chiesa metodista di Trieste, in linea col suo impegno nella società, pone al centro della giornata un tema legato all’attualità. Quest’anno saranno i migranti, la loro condizione, i loro problemi, i loro diritti, tema già affrontato più volte dalla comunità.
L’ospite della giornata sarà il pastore William Jourdan, che esercita il suo ministero nelle chiese metodiste di Vicenza e di Bassano del Grappa, composte la prima in gran parte e la seconda totalmente da ghanesi. Da qualche anno molte comunità vivono la realtà dell’accoglienza di protestanti africani venuti in Italia con le loro famiglie, e vivono l’esperienza che è stata chiamata Essere Chiesa Insieme, molto bella ma anche problematica: se la fede evangelica è la stessa, è diverso il modo di sentire e di vivere il culto, di leggere alcuni testi biblici e le loro implicazioni, di vivere la realtà comunitaria. Il percorso è portato avanti positivamente, e possiamo considerare queste comunità delle realtà pilota nel cammino di integrazione fra culture e sensibilità diverse che tutta la società è chiamata a intraprendere: dei laboratori in cui si cerca di praticare quell’interculturalità che è il solo modo di evitare una società frazionata in blocchi etnici separati e diffidenti.