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Dove abbiamo sbagliato?

Le chiese, non diversamente dal mondo della politica, devono chiedersi perché non si riesca a dar vita a un’alternativa credibile alla prepotenza verbale e alla violenza nella società

«Ecco perché in tempi come questi, il saggio tace; perché i tempi sono malvagi»: a chi in Italia non è venuto in mente il profeta Amos assistendo alla rissa continua di politici e opinionisti, commentatori da salotto televisivo o frequentatori dell’Internet-bar che deformano la libertà di pensiero con l’ostentazione degli istinti sragionati? All’arena dei gladiatori si è sostituita quella mediatica. Il linguaggio, scarno di parole e pensieri, è ridotto ai minimi termini non soltanto su Twitter, ma nella psuedo-comunicazione che ha perso ogni sua funzione di legame, di mettere in relazione, in dialogo. Ogni forma d’espressione è come uno slogan, uno spotpubblicitario. Destra e sinistra hanno un loro glossario. Il giornalismo autentico, fatto di inchieste, dunque ricerca di senso, è trascinato ogni giorno a dar conto di atti d’inciviltà diffusa.

Più che le fake news, tutto sommato smascherabili, a costituire un pericolo sociale è lo hate speech: parole d’odio, di violenza, di aggressività che non corrono solo sul web, ma sono parte del dizionario quotidiano anche di rappresentanti in Parlamento. È come se ogni freno inibitore sia crollato non solo nella società (il caso dei ragazzi di Manduria che hanno torturato a morte un pensionato disabile è solo la punta dell’iceberg) ma anche nella politica, e questo è l’aspetto più grave. Perché, se è vero che gli eletti rispecchiano la volontà degli elettori ed è, quindi, nella società civile che s’annidano i germi della malattia d’onnipotenza per cui il potere è forza bruta incurante di ogni regola condivisa, di ogni rispetto degli altri, è nella sfera politica che le dinamiche collettive devono trovare sintesi che superano le divisioni e arricchiscono il Paese unificandolo attorno al suo bene comune.

I rappresentanti devono aggiungere un quid alla volontà dei loro rappresentati. In questo senso sarebbero importanti élite, politiche, intellettuali, religiose, ma anche imprenditoriali (pensiamo a una figura come Adriano Olivetti!) in grado di dare una svolta alla regressione in atto. I movimenti anti-sistema, anti-élite in realtà sono nati per mancanza di sistema e di élite. Il sistema Italia si è frammentato in interessi corporativi, le élite perdendo coscienza della loro funzione civile sono diventate caste autoreferenziali, corpi separati.

Quando e come è accaduto che la barbarie non ha più ritegno? Ci sono, sostanzialmente, due modi per affrontare il problema ed entrambi sono suggeriti dalla Bibbia: Apocalisse 16, 14.16 oppure Giudici 9, 7-15. Possiamo pensare che tutto sia andato bene (fino al governo Berlusconi in Italia e fino a quello di Trump in Usa?) ma che a un certo punto, inevitabilmente, le forze del male si sono ribellate alle forze del bene e noi oggi stiamo vivendo la battaglia di Harmaghedon. Tutto il demoniaco, che è fatto di violenza, intolleranza, discriminazione, razzismo, egoismo, cupidigia di denaro, idolatria della ricchezza, sfruttamento dei poveri, ingiustizia verso i deboli, si sta armando, anzi è già armato e a noi non resta altro che respingere questi attacchi. Oppure la parabola di come il peggiore degli alberi, il pruno, sia diventato re portando i Sichemiti alla rovina, ci aiuta a capire quando e perché persone e pezzi di società sono stati avari, assorti ciascuno sui propri orti da coltivare, sottraendosi ai doveri verso la collettività.

Oggi prevale nell’interpretazione socio-politica la chiave di lettura della paura, a sua volta originata da un senso diffuso di insicurezza. Non basta. Che dire della rabbia, della delusione, della frustrazione? Prima tra tutte, la delusione di tante, troppe, promesse inadempiute. A partire dalla Costituzione. La democrazia non ha mantenuto la promessa di parità dei diritti, se non livello formale; il socialismo non ha mantenuto la promessa di eguaglianza; lo Stato liberale anziché promuovere l’individuo lo ha mortificato e anziché promuovere la laicità, l’ha barattata in cambio del sostegno al suo ordine sociale e culturale attraverso l’educazione delle coscienze (vedi l’ora di religione cattolica nelle scuole pubbliche); il neo-capitalismo ha negato il mercato con le multinazionali, i grandi cartelli, la finanza speculativa, ma, soprattutto, ha smentito la sua idea-principe: l’inarrestabile crescita economica. L’ottica dualistica dell’apocalittica dell’Harmaghedon ha il vantaggio di essere chiara: c’è un nemico e dobbiamo schierarci. Ha uno svantaggio: ci inchioda al pensiero dell’ odio, di disumanizzazione dell’altro, ci conduce dritti sullo stesso terreno dei “demoni”. Dentro questa logica i Niniviti non hanno scampo, non c’è riscatto, trasformazione. Scardinare questa logica significa, però, partire da noi stessi, non dagli altri, come Dio insegna a Giona. Anche le chiese debbono chiedersi quali promesse abbiamo fallito per non essere individuate come l’alternativa su cui le nuove generazione del XXI secolo possono scommettere. 

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