Laicità: l’unico antidoto al terrore
14 gennaio 2015
Anche nell’islam, la lotta al fondamentalismo si fa dando spazio alla separazione fra Stato e religione
«Il Corano è contraddittorio, e come tale è umano. Noi musulmani non abbiamo avuto ancora la nostra riforma liberale, ma innumerevoli riforme conservatrici. Oggi riformare non significa dire alla gente come pensare, ma dare loro il permesso di pensare e di fare domande sui nostri testi sacri. E questa è considerata una sorta di eresia anche fra i musulmani non estremisti. Sono una musulmana dissidente, sono una Muslim refusenik, ma questo non significa che io rifiuti l’Islam: rifiuto di unirmi a un esercito di automi in nome di un dio, incluso il mio».
Lo scrive, nel 2004, nel suo libro My trouble with Islam, (in Italia con il titolo Quando abbiamo smesso di pensare) una giovane attivista e giornalista musulmana: il suo nome, Irshad, non a caso significa ‘guida’. E nel suo sito è proprio la stessa Manji ad accettare la sfida insita nel suo nome: «Essere una guida per il popolo musulmano verso il coraggio morale e la riforma democratica» – scrive.
Il successo del libro, immediatamente preso di mira dai fanatici integralisti, è planetario; nel giro di due anni viene tradotto in tutto il mondo occidentale e anche, per specifico desiderio dell’autrice, in urdu, arabo, farsi, indonesiano, sloveno, e molti capitoli sono disponibili gratuitamente on line.
Irshad, che nel testo ringrazia Allah per la sua vita e per l’amore della sua compagna, è la prima donna musulmana di dichiarata fede islamica a prendere parola pubblica contro l’integralismo religioso, e lo fa in maniera inedita e dirompente.
«Sono credente, e sono lesbica. Ma il mio dio non è quello degli integralisti, che mi vorrebbero morta perché amo una donna. Se dio non avesse voluto che io fossi come sono io non ci sarei. Dio non mi giudica per quella che sono, sono gli esseri umani a farlo». Ishad Manji, nata proprio nell’anno simbolo dell’inizio delle rivoluzioni antisistema e antipatriarcali in occidente, irrompe a soli 35 anni sulla scena mondiale e diventa in breve un punto di riferimento per una vasta parte dell’opinione pubblica, in particolare giovanile, del mondo arabo e musulmano.
In Italia, come sovente accade, il libro non ha visibilità: non piace a destra per ovvi motivi e nemmeno a sinistra, perché non inneggia alle colpe dell’occidente, ma anzi punta il dito verso la religione delle ‘vittime’, l’islam, che per una parte della sinistra italiana non è criticabile come l’ebraismo e il cattolicesimo, considerate colonialiste e responsabili della reazione violenta dell’islam.
Stessa sorte di oblio è quella delle voci laiche, atee e agnostiche del mondo musulmano, che pure ci sono: in ottobre a Londra si è svolta una impressionante convention, per presenza e livello culturale, per la laicità nel mondo, in particolare quello islamico, la Secular Conference.
Non uno dei giornali italiani ha mostrato interesse, nonostante le segnalazioni: le uniche giornaliste italiane presenti eravamo io e Marina Forti, e, ironia della sorte, è stata Riforma (testata protestante) l’unico giornale, oltre a Noidonne, a volere articoli di approfondimento sull’evento.
Quello che da anni dicono, senza eco mediatica, le persone impegnate nel mondo musulmano laico, è che la lotta contro la violenza fondamentalista si fa dando spazio alla laicità che, con la separazione tra Stato e religione, garantisce l’affermazione dei diritti umani, schiacciati da ogni teocrazia, che per sua natura è sempre fondamentalista, sessista, omofoba e patriarcale.
Piacciano o no le vignette di Charlie Hebdo, in gioco non ci sono il buon gusto e la volgarità, presente talvolta nelle vignette: c’è la convivenza in un mondo nel quale si può discutere di tutto e uno nel quale si muore per reato di blasfemia.
Non è casuale che nel mirino ci sia la Francia: piaccia o no è il paese europeo nel quale si è scelto di criticare apertamente il multiculturalismo, che lascia molte zone d’ombra su diritti universali e laicità, e dove si afferma il primato laico nello spazio pubblico sulla pur tutelata libertà religiosa individuale.
Come scrive Maryam Namazie, intellettuale attivista iraniana laica «Il razzismo ed il fascismo hanno le loro proprie culture. Lottare per i diritti umani significa condannare i credo reazionari, non osservarli. La sconfitta del nazismo e delle sue teorie biologiche ha contribuito al discredito del concetto di ‘superiorità razziale’ e tuttavia il pregiudizio che ci stava dietro ha trovato forme di espressione più accettabili per il nostro periodo storico. I relativisti culturali difendono gli olocausti dei nostri giorni. Chiunque rispetti l’umanità deve impegnarsi per l’abolizione di ciò che è incompatibile con la libertà umana».