I migranti? Noi li chiamiamo “new Scots”
13 maggio 2019
Rappresentanti della Chiesa di Scozia in visita negli uffici della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
La Chiesa di Scozia, ospite negli scorsi giorni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, ha voluto approfondire in modo particolare l’esperienza dei corridoi umanitari e in generale i progetti legati ai migranti e rifugiati del programma Mediterranean Hope, che sostiene da anni.
In primis, dunque, la responsabile dell’accoglienza della Fcei, Federica Brizi ha raccontato come le chiese evangeliche si occupano di migranti e come si realizzano i corridoi umanitari, promossi insieme alla Comunità di Sant’Egidio.
I rappresentanti scozzesi hanno incontrato, tra gli altri, le Ong supportate dalla Fcei, che si occupano – tra mille difficoltà, soprattutto nell’ultimo periodo – di salvataggio in mare: Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch e Veronica Alfonsi della Ong spagnola OpenArms, con Daniela Di Rado del Consiglio italiano per i rifugiati.
Prima delle esperienze delle organizzazioni impegnate nel salvataggio in mare, i pastori scozzesi hanno anche discusso con il senatore Luigi Manconi, coordinatore dell’Unar, che ha spiegato come «da 500mila» la popolazione di stranieri in Italia sia arrivata a «5 milioni 200mila di persone regolari”» e come questo fenomeno non abbia «prodotto nessuna o quasi concorrenza tra residenti italiani e stranieri in merito ai posti di lavoro quanto piuttosto una competizione sui servizi». Il problema, insomma, è la crisi del welfare state in Italia, che alimenta una guerra tra poveri, i cui frutti sono i violenti episodi nelle periferie, come Casal Bruciato e Torre Maura.
Per Ian Alexander, segretario generale del World Mission Council, la visita a Roma è stata l’occasione per «capire ancora meglio come supportare i progetti legati alla solidarietà e all’accoglienza da parte delle chiese evangeliche. Ci ha colpito molto l’impegno delle persone che sono in prima linea per accogliere i migranti – ha continuato il rappresentante scozzese – e l’attenzione per la dignità del lavoro, ad esempio, come valore-chiave per i percorsi di vita delle persone che arrivano in Italia. Di fronte al fatto che ogni evidenza il regolamento di Dublino non sta funzionando, per i rifugiati, cerchiamo di capire anche come poterne attivamente promuovere una sua modifica».
In Scozia il numero di migranti e rifugiati è molto più esiguo, ovviamente, che in Italia ma le chiese sono attive per «favorire l’integrazione, lavorare in termini di advocacy, per promuovere i diritti e l’integrazione di quelli che noi chiamiamo “new Scots”, nuovi scozzesi».
Non stranieri, profughi, migranti: nuovi cittadini scozzesi.