Riportare speranza in un mondo disperato
20 marzo 2019
Al Servizio Cristiano di Riesi, una nuova sfida per aiutare le famiglie e i bambini con difficoltà psicofisiche e motorie: un centro riabilitativo in un territorio deprivato
Il prossimo sabato 23 marzo sarà inaugurato, al Servizio Cristiano di Riesi (Cl), il nuovo Centro diagnostico-riabilitativo per bambini e ragazzi con vari disturbi, dalle sindromi autistiche alle difficoltà psicofisiche e motorie.
Il Centro sarà intitolato, spiega il direttore del Servizio Cristiano Gianluca Fiusco, «a Fernanda Teodori, moglie di Tullio Vinay [fondatore del Servizio Cristiano, ndr], figura importante, rimasta per lungo tempo sullo sfondo, cui si deve, insieme ad altre donne coraggiose, l’avvio dei servizi sociali, medici e pediatrici del primo consultorio familiare in Sicilia negli anni ’60».
Proprio dalla volontà di rinnovare l’impegno dello storico ambulatorio, ma soprattutto da un’esigenza forte del territorio, nasce nel 2010-2011 l’idea di questo nuovo servizio: «Il territorio interno della Sicilia, di Riesi in particolare ‑ spiega Fiusco ‑ è privo di servizi riabilitativi rivolti all’infanzia e all’adolescenza, a fronte di un bisogno che cresce di mese in mese, complice il progressivo impoverimento, il sempre minore trasferimento delle risorse alle periferie che si somma a un preoccupante livello di evasione. L’esplosione dei servizi sociali e riabilitativi dal 2015 conferma non soltanto l’urgente bisogno di accompagnamento, quanto l’esiguità di risposte organiche e razionali. Spesso infatti le famiglie, non trovando strutture capaci di aiutarle, sono costrette a viaggiare altrove, indebitandosi, arrivando alla determinazione ancora diffusa di tenere a casa i figli, di fatto condannandoli a un calvario che rischia di diventare soverchiante».
Dopo sette intensi mesi di lavoro (quasi metà del tempo richiesto per le pratiche burocratiche, sottolinea il direttore), il Centro diagnostico-riabilitativo, con un insediamento di 1500 mq totali e una superficie di quasi 750 mq distribuita su due piani, è pronto con i suoi studi di riabilitazione psicomotoria, logopedica e terapie psicologiche e una piscina di 7,5 x 12,5 metri, accessibile ai diversamente abili e coperta da un tetto in legno a unica campata. Nel Centro lavoreranno uno psicologo, una logopedista, una psicomotricista che seguirà anche la riabilitazione in acqua, un’educatrice e una pedagogista.
Il cantiere è stato coordinato dall’architetto Pietro Artale che si è già occupato, insieme all’ingegnere Enrico Bono e all’architetto Mauro Calamia, delle ristrutturazioni del patrimonio storico del Servizio Cristiano, il villaggio di Leonardo Ricci a Riesi.
La realizzazione ha coinvolto 14 aziende, spiega ancora il direttore, «in prevalenza del territorio: lavoro trasparente, pulito, fuori dal controllo delle mafie e del lavoro nero, in un contesto territoriale povero, dove il lavoro manca e, quando c’è è appunto in nero e la disoccupazione giovanile arriva a percentuali tremende, oltre il 60%. Nel nostro cantiere, oltre il 70% dei lavoratori aveva meno di 40 anni».
L’investimento economico è stato di quasi 700.000 euro, reperiti tra fondi propri del Servizio Cristiano, doni internazionali, una partecipata raccolta fondi (che peraltro è ancora aperta) e un contributo dell’otto per mille della Chiesa valdese-Unione delle chiese metodiste e valdesi.
Quello che i numeri non dicono è ciò che sta dietro al lavoro del Servizio Cristiano. Come tiene a sottolineare il direttore, «alla base di tutto c’è la Parola. E non una parola distratta, presa a caso, ma questa di 2 Pietro: “Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù, la conoscenza; alla conoscenza l’autocontrollo; all’autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà”. Una parola condivisa, che testimonia quanto l’impegno nella diaconia deve partire dal coinvolgimento delle persone con cui la diaconia agisce. In un contesto in cui è ancora forte il controllo della mafia, che impone con la forza le sue leggi, e la disperazione per il presente e per il futuro sembra aver preso il sopravvento nelle vite delle giovani generazioni abbiamo il dovere di “renderci conto” prima di rendere conto della speranza che ci è stata affidata. Dobbiamo ricordarci che la nostra fede è oggi chiamata a rendersi visibile e impegnata forse più che nel passato, renderci conto della speranza che ci è stata affidata per renderne conto al prossimo che il Signore ci farà incontrare».