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Imparare a sperare

Un giorno una parola – commento a Ebrei 6, 18-19

Il Signore sarà un rifugio per il suo popolo, una fortezza per i figli d’Israele
Gioele 3, 16

Abbiamo cercato il nostro rifugio nell’afferrare saldamente la speranza che ci era messa davanti. Questa speranza la teniamo come un’àncora dell’anima, sicura e ferma
Ebrei 6, 18-19

«Anche la Speme, ultima Dea, fugge i sepolcri» scrisse il poeta Ugo Foscolo: difficile dargli torto! Si potrebbero elencare tutta una serie di motivi e di situazioni nelle quali, di speranza, non è proprio il caso di parlare.

L’autore della Lettera agli ebrei non viveva sulla luna e queste cose le sapeva anche lui. Proprio per questo, e non a prescindere da questo, egli sottolinea il valore e l’importanza dello sperare contro speranza. È indubbio come, in certi momenti della vita, parlare di speranza sia assurdo. E, se proprio si vuole tentare, bisogna essere consapevoli del muro invalicabile che si ha di fronte. Il buon senso, la ragionevolezza e la logica non servono a nulla. Infatti, la speranza alla quale si riferisce il nostro testo, non è giustificata dal mondo così com’è, né dagli esseri umani così come sono. Nulla nell’aldiquà può sostenerla. E la sua forza persuasiva e salvifica sta proprio nel suo essere motivata da una realtà altra (ma non aliena) alla nostra.

Il Signore ha giurato per se stesso: la sua veridicità rende credibile la sua eterna fedeltà al patto e apre le porte alla speranza, che ha la sua ragion d’essere, nonostante tutto e tutti, proprio in lui, in colui che si è dichiarato una volta e per sempre per noi.

Nelle tempeste della vita possiamo essere investiti dalla furia degli elementi e correre mille volte il rischio di essere travolti e sommersi dai flutti. La speranza non elimina il pericolo. Essa costituisce, però, un’àncora alla quale aggrapparsi, una cima che ci trattiene attraccati al molo. Là dove le imbarcazioni sono sballottate dalle onde, risuona l’umanissimo: «Si salvi chi può». Ma i credenti, come i fratelli moravi che viaggiavano sulla nave diretta in America sulla quale era imbarcato John Wesley, anche nell’ora più buia pregano serenamente e risuona attorno a loro la parola di Dio. Non sono fanatici, ingenui o illusi ma sono persone che, mediante la fede, hanno imparato a sperare: soprattutto quando, a vista umana, sembra servire di meno.

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