La memoria e la luce
30 gennaio 2019
In questo libro l’autore si interroga, a partire dal proprio retaggio cristiano e di impegno sociale, quale sia il senso di essere credenti oggi
Tonino Perna è professore di Sociologia Economica all’università di Messina e autore del libro La memoria e la luce . La ricerca di un cristiano del XXI secolo. Già autore di vari libri con editori come Bollati Boringhieri, Altreconomia e Rubettino, è la prima volta che pubblica con Claudiana. Sottolinea di non essere un teologo ma un cristiano proveniente da esperienze di fede e impegno sociale tipico del ‘68. Un libro scritto in 30 anni raccogliendo man mano pensieri e riflessioni che si interroga sul ruolo dei credenti nel mondo contemporaneo.
Ne parla l’autore.
Partendo dal titolo, cosa significano la memoria e la luce per lei?
«Parto da un’intuizione di molti anni fa: noi abbiamo un senso del tempo perché abbiamo la memoria. Come dico all’inizio del libro, 20 anni fa mia madre ebbe una serie di ictus e a un certo punto perse la memoria. Mi disse che le sembrava di non avere vissuto. La luce invece crea lo spazio. Spazio e tempo sono creati da questi due elementi fondamentali e sviluppando l’incrocio memoria e luce vado a toccare un tema sensibile al messaggio del cristianesimo che, insieme all’ebraismo, è proprio la religione della memoria. Sono poi passato a pormi la domanda che nel tempo si è posta non solo la mia generazione, ma tutti quelli che sono impegnati nel sociale, nella cultura e che hanno questo retaggio: qual’è il senso dell’essere cristiano oggi.
Secondo la mia esperienza, ma scavando in quello che mi sembra un pensiero diffuso, viviamo un tempo che è molto simile a quello dei primi apostoli: probabilmente molti altri avrebbero potuto essere chiamati ma non se la sono sentita di lasciare le proprie occupazioni e gli affetti. Ma chi lo seguiva perché lo faceva? Io credo che siamo in quella condizione esistenziale: pochi, sempre meno seguono questo messaggio, ma chi lo fa è perché non riesce a farne a meno».
L’essere cristiano implica necessariamente impegno sociale e civile?
«Assolutamente si. È una conseguenza. Anche se ci sono persone che fanno cose meravigliose rispetto alla tutela dell’ambiente e rispetto al prossimo senza avere questa ispirazione cristiana. Però credo che ci sia un segno nella storia molto forte, anche quando sembra che nulla abbia a che fare col cristianesimo, penso che ci sia una sedimentazione del messaggio rimasta nella storia. Viviamo un tempo difficile, già dopo la Shoah è stato difficile continuare a credere dopo questo male immenso. Al contempo penso che le cose che sono state scritte 2000 anni fa valgano ancora oggi. L’altro aspetto del libro riguarda il non ignorare quello che le varie materie scientifiche ci hanno portato nel corso del tempo. Soprattutto ho messo insieme l’elaborazione mentale con l’esperienza di vita».
Nella premessa fa un paragone tra la bellezza del pianeta e il volto di Dio. Ce ne può parlare?
«Credo che ci sia un rapporto molto molto stretto e riguarda la contemplazione, elemento che ha contraddistinto la testimonianza cristiana durante varie fasi storiche. Il che ci rimanda alla necessità di disconnetterci. Altro problema del nostro tempo è quello di non avere più un tempo interiore per stare semplicemente a contemplare la bellezza del creato. Questo è un elemento che però si deve combinare con la bellezza del prossimo. La difficoltà è avere questa sensibilità ambientale e unirla alla sensibilità sociale. Oggi in tutto in occidente, ma non solo, c’è un’attenzione per gli animali che non esisteva 30 o 40 anni fa. Un’attenzione che però qualche volta va a discapito degli esseri umani che ci stanno accanto».
Il secondo capitolo del libro si intitola L’amore è discendente. Cosa significa?
«Questo capitolo ho cominciato a scriverlo nel ‘98. Era morta da poco mia madre e ho ripensato a una cosa che mi ha insegnato, una cosa che finché non si ha un figlio non si può capire: l’amore è qualcosa che va dall’alto verso il basso, dal genitore verso il figlio. Però contemporaneamente nel capitolo dico un’altra cosa: che anche il genitore ha bisogno dell’amore del figlio. E allora c’è questo paragone con l’amore di Dio rispetto agli uomini che è discendente, dall’alto verso il basso, che però ha anche bisogno di una risposta».
Anche la struttura del libro ha scelto che fosse discendente?
«Si. Parto da grandi temi e infine affronto quello che sta avvenendo nelle chiese, il rapporto tra cattolici, protestanti e ortodossi, la fine di certi riti, le chiese che sono sempre più vuote. Si fanno i conti con l’attualità per concludere che quello che ci rimane, come essenza del messaggio, è l’impegno verso gli esseri umani e la natura. È su questo piano che come cristiani ci possiamo ritrovare, perché il tempo che viviamo è di forte disumanità. Questo ci appare davanti oggi guardando le 47 persone che stanno in attesa in mare davanti a Siracusa. È uno scandalo pensare di lasciare delle persone così.
Negli ultimi 20 anni, dopo la caduta del muro di Berlino, è stato il trionfo del pensiero unico. Mentre prima le persone lottavano e riconquistavano diritti sociali, anche se ha riguardato una piccola parte del pianeta, almeno da 20 anni siamo in una regressione. Ognuno è sempre più solo, anche se magari ha 5000 amici su Facebook, e questa solitudine porta a una sorta di indifferenza e di rabbia. C’è un male profondo che si trasforma in cinismo e disumanità».