Ai piedi del bambino di Betlemme
29 dicembre 2014
Un giorno una parola – commento a Matteo 2, 11
Se le ricchezze abbondano, si distacchi da esse il vostro cuore.
(Salmo 62, 10)
I magi aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra.
(Matteo 2, 11)
Non c’è scena di natività o presepe senza i magi, figure essenziali per dare alla scena il giusto equilibrio teatrale. Ma il racconto evangelico non è teatro, va letto per il suo messaggio, per ciò che intendeva dire. Ai suoi primi lettori, come per tutti gli antichi, la sapienza, la scienza viene dall’Oriente, perché laggiù i magi hanno imparato a leggere negli astri i misteri del nostro destino, come i fisici del Cern di Ginevra intenti a inseguire “la particella di Dio”.
Qui la scienza, la sapienza rende omaggio al Cristo, cioè alla legge di Dio, compiendo il gesto, che si compiva davanti al sovrano: il prostrarsi a terra. La loro non è infatti una visita di cortesia natalizia, è il riconoscimento di un’autorità che li sovrasta. Il paradosso è che essa sia presente in un neonato e in una stalla.
L’oro, più che di ricchezza e prestigio, è simbolo del potere, del potere decisionale operativo; l’incenso, nel mondo della religione, è la forma materiale di riverenza che si riserva all’oggetto o al luogo dove il potere si riveste di divino: l’idolo, l’altare. La mirra, conservazione della realtà oltre la morte, è il potere mummificato, il simulacro, l’ideologia.
Quello che nella vita e nella storia umana ha strutturato l’esistenza delle creature: l’autorità decisionale, l’ideologia rivestita di religione, la sua pretesa di assoluto, sono realtà della nostra storia, ma stanno sotto i piedi del bambino di Betlemme.