Artiste si raccontano
18 gennaio 2019
Come dare il giusto riconoscimento alle artiste donne dopo il ‘900, secolo poco inclusivo
Sta quasi per terminare la mostra ContemporaneA ‒ Artiste si raccontano, in mostra ancora per qualche giorno presso lo spazio Bi Box di Biella. La mostra è stata pensata per essere fruita anche durante le vacanze invernali e si tratta di un progetto dalla gestazione molto lunga: più di due anni. Un percorso ricercato, curato da Irene Finiguerra, volto a mettere in luce la produzione artistica femminile nel contesto dell’arte contemporanea. Come diceva Alice Neel, artista statunitense morta nel 1984, e come riporta Finiguerra per presentare la mostra: «all’arte non interessa se sei donna o uomo. Una cosa che devi avere è il talento e devi lavorare come un matto». Nonostante questo, per moltissimi secoli c’è stata un’arte al femminile che però non ha mai avuto il giusto spazio e considerazione da parte della critica e del grande pubblico.
«Fino alla fine del secolo scorso le artiste donne che venivano inserite in mostre collettive o all’interno di Biennali o mostre importanti erano una percentuale bassissima» ricorda Irene Finiguerra. Nel 1980 Lea Vergine, importante storica e critica dell’arte, aveva dedicato una grande esposizione collettiva dal titolo L’altra metà dell’avanguardia 1910 – 1940 alle artiste attive nella prima metà del ‘900.
Con la mostra di Biella si è voluto andare oltre, selezionando 20 artiste attive negli ultimi 60 anni. Alcune sono state definite “sorelle maggiori”, ovvero quelle che hanno lavorato nella seconda metà del ‘900 in Italia ma che non sono più vive e non hanno potuto godere di un giusto riconoscimento. Sono artiste che hanno lavorato in un periodo storico non inclusivo ma che con tenacia hanno portato avanti la loro arte. Queste “sorelle maggiori” passano il testimone a giovani artiste che sono ad oggi attive nel panorama dell’arte.
Tra le sorelle maggiori c’è Maria Lai, presente in mostra con due opere. La presenta Irene Finiguerra: «Lei è un’artista nata nel 1919 in Sardegna. Dobbiamo pensare a cosa significhi essere un’artista, durante tutto l’arco del ‘900, in una regione che più ostica non può essere. Lei lavora con il ricamo, una tecnica estremamente femminile, legata alla tradizione, appannaggio solo delle donne, ma lo trasforma in una tecnica artistica e in opere d’arte. Ci consegna queste due opere che sono dei ricami in cui lei simula la scrittura, come fossero delle pagine di un diario che diventa completamente illeggibile, come se avessimo buttato il nostro diario nel mare e l’acqua diluisse la nostra scrittura».
La più giovani artista in mostra è del 1990 e si chiama Marta Pujades. Continua Finiguerra: «Lei viene dalle Isole Baleari. In una sua opera video, Carmì, vediamo in primo piano il mezzobusto dell’artista che si mette con estrema perizia e precisione un rossetto rosso sulle labbra. Ma completato il lavoro non si ferma e pittura con il rossetto tutto il volto fino a creare una maschera compatta rossa, per sottolineare che lo stereotipo che ci vuole tutte belle, perfette, sempre truccate, pettinate, in realtà diventa un’arma a doppio taglio. Noi donne rimaniamo ingabbiate e diventiamo le maschere di noi stesse».