Assise degli evangelici italiani: intervista al presidente Luca Maria Negro
20 novembre 2018
Spiritualità, libertà religiosa, Europa, migrazioni, spazio pubblico, l'opinione del riconfermato presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
A conclusione dei lavori della I Assise della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), che si è riunita a Pomezia dal 16 al 18 novembre, abbiamo intervistato il pastore Luca Maria Negro riconfermato alla presidenza della FCEI.
Un bilancio di questa prima Assise che si configura come un nuovo spazio di confronto del protestantesimo italiano. Come è andata?
Abbiamo affrontato tanti temi, forse troppi e quindi il dibattito è stato forse un po’ compresso. L’Assise non è un’assemblea deliberativa ma una sorta di forum in cui fare il punto delle attività svolte dalla FCEI e offrire stimoli e suggerimenti per il lavoro futuro. È stato approvato il documento “Gli evangelici nello spazio pubblico” che si muove a partire da una preoccupazione per il clima culturale del nostro paese, immerso in risse, manovre di delegittimazione, campagne di odio con ricadute sociali assai inquietanti. A ciò si aggiunge il fatto che i media amplificano questi episodi e che chi si trova in una posizione di responsabilità usa con troppa facilità dei toni e un linguaggio che non aiutano ad affrontare le questioni con lucidità ma puntano sull’emotività. A questo proposito amo citare il Salmo 12, un lamento perché si diffonde la menzogna nella società, che parla delle responsabilità, negli atteggiamenti e nello stile, di chi è in una posizione pubblica.
Quali sono i temi emersi con più forza durante questa tre giorni di riflessione?
Sono cose di cui parliamo da mesi, come ad esempio la denuncia delle semplificazioni sul tema dei migranti o sul ruolo dell’Europa, tema che è stato al centro dell’evento pubblico che ha aperto l’Assise. Vorrei dire che la nostra riflessione e le nostre risposte puntano sempre a cercare di riscattare la complessità e a problematizzare piuttosto che affidarci a slogan. Ci rendiamo contro delle difficoltà che il fenomeno migratorio porta nei nostri paesi, così come sappiamo che l’Europa è lontana dai cittadini ed eccessivamente burocratizzata, ma pensare che la soluzione sia la chiusura delle frontiere o il sovranismo ci sembra intollerabile. La nostra fede evangelica ci abitua a fare dei distinguo, ci chiama a discernere, e a lasciarci trasformare da questo discernimento per capire ciò che è giusto.
Ha parlato in varie occasioni, anche nel culto inaugurale dell’Assise, della necessità di un ritorno alla spiritualità.
Il testo che abbiamo scelto, Luca 18,8, e il versetto che ci ha guidato nei lavori “Ma quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà fede sulla terra?” ci hanno aiutato. La parabola di Luca si conclude con questa domanda drammatica che invita a vivere un’intensa spiritualità. Credo che sia necessario riscoprire la centralità della preghiera come strumento di connessione con Dio. Il cristiano dovrebbe sentire l’esigenza di rimanere in contatto con la fonte della propria forza, che è il Signore e la sua parola. La spiritualità che dovremmo riscoprire è però quella della resistenza perché non basta pregare, dobbiamo gridare incessantemente giustizia per questo mondo, un grido rivolto a Dio e ai governanti di questa terra.
Di quali qualità crede che un cristiano abbia bisogno in questo momento storico?
Innanzitutto della perseveranza, nella preghiera e nella giustizia. E poi del coraggio, non solo nell’affrontare le avversità ma anche nel non scoraggiarsi, non perdersi d’animo, anche se i tempi che viviamo ci spingono alla sfiducia nel futuro.
Dove va il protestantesimo italiano?
Sono convinto che, malgrado stiamo andando verso delle chiese ridimensionate dal punto di vista numerico, riusciremo a mantenere la nostra vitalità. Proprio per questo dobbiamo essere fortemente motivati, sapere in che modo vogliamo vivere la nostra fede. Mi trovo d’accordo con le conclusioni della ricerca RI.SO.R.S.E. (Rilevazione Sociologica sulle Risorse e Statistiche Ecclesiastiche), presentata al Sinodo Valdese e metodista dello scorso agosto, in cui si parlava di decrescita delle chiese ma anche di segnali di rinnovamento, di fermezza, di chiese motivate. Sono però anche consapevole che va fatto uno sforzo per cercare di coinvolgere in questa nostra visione altre persone perché altrimenti rischiamo di scomparire. E per questo c’è bisogno di una strategia di evangelizzazione che ingrandisca le nostre comunità mantenendo la nostra identità e rifuggendo tecniche di organizzazioni che fanno marketing. C’è la possibilità di crescere senza ricorrere al fanatismo e senza essere elitari. La nostra deve essere una spiritualità della giustizia e di evangelizzazione intelligente, che inviti al discernimento usando parole nuove, rinnovando il linguaggio e aprendoci a nuove forme di comunicazione, come è stato sottolineato anche durante l’Assise.
Come Federazione quali sono i primi temi che affronterete?
Sicuramente quello di una spiritualità incarnata che accompagni la nostra azione di testimonianza concreta nel mondo. E poi quello della libertà religiosa. Il fatto che l’Italia non abbia ancora nel suo ordinamento una legge sulla libertà religiosa, seppure si tratti di un diritto fondamentale codificato dalla Costituzione all’articolo 19, è preoccupante.