Italia, rotta di morte
13 novembre 2018
17 vittime la scorsa settimana al largo delle coste spagnole: più di 2.000 il numero delle vite perse quest’anno nel Mediterraneo
«Nonostante la Spagna sia diventata la principale destinazione dei nuovi arrivi, è la rotta per l’Italia a essere quella più letale: oltre la metà delle 2mila persone morte nel Mediterraneo nel 2018», lo rileva l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr).
17 persone sono state trovate morte la scorsa settimana al largo delle coste spagnole, portando a più di 2.000 il numero delle vite perse quest’anno nel Mediterraneo.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha ripetutamente sollecitato un’azione urgente per rispondere a questa terribile situazione: «da diversi anni il Mediterraneo rappresenta per rifugiati e migranti la rotta marittima a maggiore rischio di decessi del mondo. Nessuno dovrebbe considerare accettabile che la situazione resti tale – si legge in un rapporto denuncia dell’Unhcr –. Ad oggi circa 100.000 richiedenti asilo e migranti hanno raggiunto le coste europee nel 2018, segnando un ritorno ai livelli precedenti al 2014. Allo stesso tempo le oltre 2.000 morti per annegamento indicano che il tasso dei decessi si è bruscamente innalzato, soprattutto nel Mediterraneo centrale. A settembre, una persona su otto tra quelle che hanno effettuato la traversata ha perso la vita, soprattutto a causa della ridotta capacità di ricerca e di soccorso».
Le restrizioni legali e logistiche imposte ad alcune Ong, ricorda il sito dell’Associazione Carta di Roma (www.cartadiroma.it ) «hanno avuto come effetto cumulativo l’assenza totale nel Mediterraneo centrale di imbarcazioni preposte alla ricerca e soccorso. Se le operazioni di soccorso delle Ong nel Mediterraneo cessassero del tutto, rischieremmo di tornare alla stessa pericolosa situazione alla quale abbiamo assistito nel 2015, quando centinaia di persone sono morte in un incidente nel Mediterraneo centrale dopo l’interruzione dell’operazione navale italiana Mare Nostrum».
La Guardia Costiera libica, ricorda ancora l’Unhcr, «è diventata la principale responsabile del coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso in un’area che si estende fino a circa 100 miglia. Nonostante abbia evitato la perdita di ulteriori vite in mare, necessita di supporto. Ogni nave in grado di facilitare operazioni di ricerca e soccorso dovrebbe essere autorizzata a soccorrere le persone in difficoltà. Inoltre, va specificato che le persone soccorse in acque internazionali – vale a dire, oltre le 12 miglia nautiche dalle acque territoriali della Libia – non dovrebbero essere riportate in Libia, che non offre le necessarie condizioni di sicurezza e non è considerato un “Paese terzo sicuro”». La maggior parte dei decessi è stata registrata durante gli attraversamenti in direzione dell’Italia e rappresentano oltre la metà di tutti i decessi registrati quest’anno. Più di 48.000 persone sono arrivate in Spagna via mare, rispetto alle circa 22.000 in Italia e alle 27.000 in Grecia. «C’è un bisogno impellente di rompere con l’attuale impasse e con l’adozione di un approccio ad hoc per ogni imbarcazione riguardo al luogo di sbarco delle persone soccorse – prosegue l’Unhcr –. Sarebbe anche opportuno iniziare ad affrontare le cause profonde delle migrazioni forzate e i fattori di spostamento successivo che costringono le persone a intraprendere viaggi sempre più pericolosi e rischiosi».