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Il pacifismo dei valdesi medievali

L’indicazione del «non uccidere» era assoluta e vincolante: anche tortura e punizioni corporali inammissibili

Nell’attuale momento storico in cui riemergono in Italia ondate popolari di odio nazionalista e di violenza razzista, che si credevano ormai superate, mi sembra utile ricordare che – come valdesi – siamo gli eredi spirituali di uno dei più antichi movimenti cristiani pacifisti, che precorse di vari secoli altri movimenti nonviolenti più noti quali gli anabattisti, i mennoniti, i quaccheri, i battisti, ecc. Lo storico François Caudwell ha scritto che il pacifismo evangelico «senza alcun dubbio fa parte dell’essenza profonda del valdismo» (La non-violence des Vaudois médiévaux, «Heresis» n. 20, 1993, p. 67).

Fin dal 1194-95 il teologo cattolico Alano da Lilla conferma che i valdesi del suo tempo sostenevano il «non uccidere» nel modo più radicale e dicevano: «In nessun caso, in nessuna occasione e per nessuna causa o ragione si deve uccidere un uomo». Non lo può fare neanche un giudice legittimo per il più efferato dei delitti. Per giustificarlo i valdesi si fondavano sulla legge divina: «Non uccidere» (Esodo 20, 13) e sul Vangelo: «Tutti quelli che prendono la spada periranno di spada» (Matteo 26, 52). Secondo loro la legge del taglione era stata ancora aggravata ai loro tempi e dicevano: «Com’è possibile che ciò avvenga al tempo del Vangelo che predica la misericordia? ... La misericordia del Vangelo non dovrebbe forse prevalere sulla durezza della legge?».

E, dato che questa nostra vita terrena è l’unico periodo di prova fissato da Dio stesso (il purgatorio non esiste!), il pentimento e la conversione possono avvenire solo durante questa vita terrena. Perciò abbreviare arbitrariamente questo periodo di prova, condannando a morte il reo, vuol dire condannarlo alla morte eterna: è un grave crimine contro l’umanità. In seguito i valdesi estendono la loro condanna anche all’uso della tortura nei processi e alle punizioni corporali cruente.

Giungono ad affermare un rispetto assoluto e integrale per il corpo di un essere umano: uno degli Errores waldensium del 1240 ca. afferma: «I valdesi credono che il corpo di qualunque uomo sia corpo del Signore e sia quindi da venerare come corpo di Cristo» (che ne penserebbe il nostro ministro dell’Interno che tiene il vangelo in mano?). Se vi deve essere una punizione del reo, questa deve essere fatta «per amore della correzione», cioè la pena deve sempre essere «medicinale», deve mirare al ricupero del reo, alla sua salvezza. E citano Ezechiele 33, 11: «Io non mi compiaccio della morte dell’empio ma che l’empio si converta dalla sua via e viva». Per arrivare a un riconoscimento di questa dottrina in Italia bisogna spingersi avanti fino all’epoca delle Mie prigioni di Silvio Pellico!

I valdesi sono contrari a ogni forma di guerra e contestano l’idea stessa di guerra «giusta». «Dicono che il signor papa commette un peccato mortale quando manda eserciti contro i saraceni o gli eretici». Sostengono anche che in nessun caso la chiesa può ricorrere al «braccio secolare» per la condanna degli eretici e lo deducevano da Efesini 6, 12: «Il nostro combattimento non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre». Si oppongono a ogni forma di razzismo. Secondo i valdesi gli ebrei – che Alano giudicava eretici come i musulmani e i catari – non devono essere perseguitati perché «sono nostri fratelli e ci hanno portato i Libri [dell’Antico Testamento]». Stesso atteggiamento irenico essi esprimono anche nei confronti dei saraceni o turchi, allora considerati il nemico numero uno dell’Occidente cristiano.

Per i valdesi austro-tedeschi del XIV secolo – contrari a tutte le Crociate – non esiste una «Terra santa», perché «ogni terra è ugualmente consacrata a Dio e benedetta» e non c’è nessun «luogo santo» da liberare, perché «anche i gentili [= saraceni o turchi] venerano il sepolcro del Signore e dei Profeti a piedi nudi», con il massimo rispetto. Sorprende questo atteggiamento irenico e comprensivo, di grande rispetto, verso i turchi, che ricorda quello di Francesco d’Assisi e dei suoi «frati minori», per cui i saraceni sono fratelli da amare e da convertire con la predicazione. Un insegnamento molto attuale in Italia, da non dimenticare.

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