Ospedale valdese: restituire un servizio con l'impegno di tutti
16 dicembre 2014
L'intervista a Bernardini sulla proposta di crownfoundig, le risposte della Regione Piemonte e l'atteso giudizio del Tar
Sabato 13 dicembre una manifestazione cittadina organizzata dal movimento “Mettiamoci le tette” ha circondato l’ospedale evangelico valdese di Torino, per continuare a tenere alta l’attenzione sull’inspiegabile chiusura del presidio ospedaliero di San Salvarlo a fine 2012. Chi difende la struttura ripete continuamente che la grande differenza la faceva soprattutto il processo di accoglienza e cura dell’ospedale: «dal momento in cui una donna riceveva la terribile diagnosi del tumore al seno, sentirsi abbracciata da qualcuno che pensava a tutto, significava essere sollevata e aiutata», racconta Carla Diamanti, organizzatrice del movimento e capofila di uno dei ricorsi al Tar contro la chiusura della struttura, quello delle ex pazienti e dei cittadini. Il giudizio del Tribunale amministrativo si aspetta per mercoledì 17 dicembre, ma quello citato non è l’unico ricorso: «Sono tre i ricorsi, diversi e concomitanti, che contrastano la chiusura dell’ospedale – dice il moderatore della Tavola Valdese Eugenio Bernardini – quello dei cittadini, del sindacato dei medici, e quello della Tavola. La sentenza è molto attesa, e pensiamo di avere le nostre buone ragioni».
Una decisione importante, quella che sarà presa dal Tar, che sbloccherà in ogni caso la situazione poiché, dice Bernardini «non sarà una risposta definitiva: se fosse a nostro favore sarebbe una spinta per una riapertura del tavolo di trattativa con la Regione, se fosse a noi avversa non impedirebbe di immaginare una nuova prospettiva di riutilizzo». L’ipotesi che l’ospedale riapra tale e quale a prima, infatti, è un’utopia, soprattutto per via del deficit in cui versa il settore sanitario in Piemonte, ma nell’aria ci sono nuove proposte.
Quello che i quotidiani hanno chiamato crownfounding, una raccolta fondi, con il quale “ricomprare l’ospedale”, Bernardini la propone come una soluzione nuova: «un utilizzo pubblico-privato di queste mura, sostenuto dall’azionariato popolare, convenzionato con il servizio sanitario nazionale, con una proposta di una medicina che riprenda la tradizione di buona sanità del valdese di Torino ma fermo restando l’appoggio della Regione. Se ci sarà un segnale di attenzione di interesse da parte della Regione, credo che il progetto di un’attività di questo tipo possa avere la sua sostenibilità». Sicuramente avrebbe un effetto sulle liste di attesa, indubbiamente più lunghe che in precedenza. Liste che sono migliorate, ma solo «rispetto al momento immediatamente successivo alla chiusura dell’ospedale. I numeri confermano che il disastro non è così terribile, ma le liste continuano a essere lunghe; il tempo che passa tra la diagnosi di tumore al seno e l’ingresso in sala operatoria è ancora inaccettabile per una società civile – continua Bernardini – siamo molto lontani, non solo dalla situazione precedente, ma anche dalle necessità di salute che in questa regione continuano a essere parzialmente negate».