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Il Sessantotto e gli anni Settanta

Negli anni Settanta hanno trovato il loro sviluppo istanze e discorsi che avevano spiccato il volo nel ‘68 e nel ‘69

Trovo di notevole interesse gli articoli dedicati da Riforma al ‘68 e al rapporto fra esso e la vita delle chiese evangeliche (nn. 27 e 28 del luglio scorso). Ma quel complesso fenomeno chiamato Sessantotto è stato soprattutto un approdo o un inizio? E come mai esso, a differenza che altrove, in Italia e in qualche altro contesto nazionale si è protratto così a lungo?

Non vi è dubbio che negli anni Settanta hanno trovato il loro sviluppo istanze e discorsi che avevano spiccato il volo, per dir così, nel ‘68 e nel ‘69: si pensi al connubio fra operai e studenti, all’attenzione verso il Terzo mondo, al ruolo dei metalmeccanici, ai movimenti per la liberazione delle donne, per la tutela dell’ambiente o per il disarmo. Di solito, ripercorrendo tali vicende, si aggiunge che purtroppo vi sono state anche le derive violente, fino al terrore degli anni di piombo.

Al di là del «partito armato», comunque, gli anni Settanta hanno conosciuto un vero e proprio revival ideologico e, più in generale, un atteggiamento iperideologico di non pochi gruppi. Non sono mancate letture originali e feconde, a esempio, del marxismo (meglio: dei marxismi, al plurale) e contributi preziosi al suo adeguamento alle nuove realtà. Ma accanto a ciò vi era anche la riproposizione di principi autoritari e di dogmi, in contrasto stridente con lo spirito libertario del ‘68.

Il Sessantotto aveva rappresentato, infatti, soprattutto una rivoluzione etica e una revoca di fiducia verso le strutture gerarchiche, piramidali e autoritarie che ancora caratterizzavano la scuola, la fabbrica, la famiglia, molte realtà religiose ecc. La politicità del ‘68, anzi, consisteva proprio in tale revoca. Negli anni Settanta, invece, sviluppando certamente spunti e suggestioni della contestazione sessantottina e dell’autunno caldo del ‘69, si ha un’iperpoliticizzazione di ogni ambito.

Per certi versi, dunque, l’esito del referendum sul divorzio, nel 1974, è stato soprattutto espressione delle istanze libertarie sessantottine, costituendo una cesura storica nella nostra vicenda nazionale: un segno dei tempi. L’iperpoliticizzazione della protesta operaia e studentesca degli anni Settanta impediva non di rado, al contrario, di scorgere i segni dei tempi (fenomeni, poniamo, quali la crescita del terziario e l’innovazione tecnologica, destinata a mutare il volto del globo). Insomma: si è trattato di momenti distinti e differenti, pur se inevitabilmente intrecciati.

 

 

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