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Pastore valdese e mozzo di bordo

Per la rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” a cura degli operatori e delle operatrici della Federazione delle chiese evangeliche in Italia per Mediterranean Hope (MH) – Programma rifugiati e migranti, l'articolo di Marco Fornerone che ha vissuto un'esperienza di volontariato sulla nave Open Arms

Sono partito per Burriana dal mattino alla sera, rispondendo all’appello del comandante del veliero Astral, Riccardo Gatti, capo missione della ONG spagnola Proactiva Open Arms che si occupa di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo. Ho conosciuto Riccardo Gatti durante la serata pubblica in occasione della presentazione del partenariato tra la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) e Proactiva Open Arms.

Sono rimasto molto colpito dalla serata e con Riccardo Gatti ci siamo scambiati l’amicizia sui social network. Open Arms era nei miei pensieri da alcuni giorni. Il 2 giugno Riccardo lancia un appello tramite un post in spagnolo e italiano: “Ciao! La Open Arms è ancora in cantiere, stiamo lavorando sodo per poterla rimettere in acqua il prima possibile però abbiamo bisogno di una mano. C’è qualcuno interessato ad aiutarci e lavorare duro per qualche giorno? Prima finiamo e prima ritorniamo a soccorrere!”. Mi sono sentito subito chiamato. Sono arrivato a Burriana e ho fatto quattro giorni sulla Open Arms nel varadero, il cantiere navale. Bassa, bassissima manovalanza, cosa che per me rappresenta un valore. Non ho nessuna competenza specifica per quanto riguarda le missioni di ricerca e soccorso (SAR), non sono un medico, né un infermiere, né un marinaio. Ma ho voluto collaborare a questo progetto e l’ho fatto a terra, in secca, sverniciando, riverniciando, facendo le pulizie, sistemando i magazzini di poppa e di prua.

Ho visto, entrando in contatto con le persone impegnate a bordo, una grande concretezza. Mi ha toccato profondamente. Ho visto ciò che è importante per me come credente. Ho ripensato alla targa dedicata a Riccardo Gatti e a tutti gli equipaggi di Open Arms dalla FCEI, dov’era citata la parabola del buon samaritano. Il samaritano, che è un outsider rispetto alla religione, fa quello che la gente religiosa nella parabola non fa.  Questi volontari fanno quello che io sento essere il cuore di ciò che ho capito del vangelo. Sono molti gli inviti nella Bibbia non solo ad ascoltare, ma a fare.

Intorno a me ci sono state reazioni di sorpresa e di supporto. Soprattutto negli ultimi giorni, in cui è stata più alta l’attenzione pubblica per la vicenda Aquarius, abbiamo sentito molto sostegno. Quando sono arrivato eravamo in pochi, successivamente hanno risposto all’appello una trentina di persone, tra cui diversi cittadini di Burriana. A bordo c’erano persone che si conoscevano da tempo e altri volontari che arrivavano per la prima volta, dai posti più disparati. Eppure c’era un forte senso di apertura, di comunità e reciprocità. Mi sono sentito accolto. Solo alcuni sapevano che sono un pastore, cosa che avrebbe potuto suscitare curiosità, ma anche sospetto, in persone lontane dal nostro mondo. Poi, stupore e apprezzamento hanno avuto la meglio. Certamente, il mio profilo di pastore evangelico, è fra i più strani ricevuti nelle candidature dei volontari.

Sono tornato a casa con un carico di speranza e di grande arricchimento. Per questo ho il desiderio di proseguire in qualche modo: per quel forte senso di comunità, che fa anche parte della vita delle nostre chiese e della nostra vocazione; per andare, vivere, esserci, tutti interi, non solo con il pensiero o con le parole, ma rapportandoci alla fede attraverso le nostre molteplici dimensioni, con il nostro corpo. In fondo, fare ciò che è giusto comporta anche piccoli e grandi rischi. Gesù sulla croce è l’esempio di come vivere radicalmente l’amore per il prossimo. A noi è data la possibilità di vivere una esperienza umana importante. Mi sono chiesto, se c’è da esporsi, chi potrebbe farlo se non un cristiano? Chi, se non un pastore?

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