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La stretta bulgara sulle religioni

Nel corso dell'ultima assemblea della Conferenza delle chiese europee a Novi Sad si è alzato forte il grido di allarme delle chiese protestanti contro il nuovo disegno di legge che rischia di minare l'esistenza delle minoranze

Nel corso dell’ ultima assemblea generale della Kek, la Conferenza delle chiese europee, che si è svolta a Novi Sad dal 31 maggio al 6 giugno scorsi, significativo è stato quanto espresso dai delegati delle chiese riformate ed evangeliche bulgare presenti. Prendendo la parola durante una delle sessioni plenarie, i rappresentanti di Sofia hanno lanciato un accorato appello affinché la Kek e gli altri organismi di chiese vigilino sulla nuova politica in corso nel loro paese in materia di libertà religiosa.

Questo perché una legge in discussione in Parlamento in queste settimane prevede il finanziamento da parte dello Stato soltanto delle confessioni con un numero di fedeli superiore all’1% della popolazione, parametro raggiunto soltanto dalla Chiesa ortodossa (si dichiara ortodosso circa il 60% degli 8 milioni di bulgari) e dalla comunità musulmana (8%).

La chiesa cattolica che rappresenta circa lo 0,7% della popolazione, e il panorama protestante che seppur in crescita vale al momento circa lo 0.9%, verrebbero quindi escluse dalla quota prevista di cinque euro per ogni membro di chiesa iscritto ai registri. Al contempo sarà vietato qualsivoglia finanziamento dall’estero, se non approvato dalla Direzione centrale dei culti. Direzione centrale che dovrà esprimersi anche, caso per caso, sulla possibilità per ministri di culto stranieri di celebrare in Bulgaria perché il disegno di legge prevede tale possibilità solo per cittadini di nazionalità bulgara.

L’appello dei delegati delle chiese protestanti bulgare espresso di fronte al comitato direttivo della Kek ha evidenziato proprio quanto le chiese minoritarie dipendano dall’estero, sia per il sostegno economico che per l’utilizzo di pastori e sacerdoti, data la cronica carenza su tale punto che si registra in patria.

«E’ messa a rischio la nostra sopravvivenza, vi preghiamo di vigilare e di avviare le azioni opportune, anche in coincidenza con la presidenza di turno del Consiglio dei ministri dell’Unione Europea che in questo semestre è proprio bulgara» sono state le parole finali dell’intervento a Novi Sad.

La proposta arriva dal partito conservatore  attualmente al governo Gerb, ma ha incontrato un consenso trasversale che va dalle forze socialiste al partito della minoranza turca, motivato con la volontà di evitare intromissioni estere negli affari interni al fine di tutelare il paese dal rischio terroristico, grande paravento utile in questa nostra epoca, alla bisogna. Pensare che Sofia è celebre anche per piazza San Nedelya, ribattezzata della tolleranza religiosa, perché si trovano fianco a fianco la chiesa ortodossa, quella cattolica, la sinagoga e la moschea.