Il business delle emergenze costruite
09 dicembre 2014
Riflessioni a margine dell’inchiesta su «Mafia Capitale»
La grande inchiesta sulla Mafia Capitale, condotta dalla procura di Roma, è la fotografia potente e tragica del degrado di una città e di un intero paese. Le indagini in corso hanno reso visibile l’intreccio tra potere e criminalità organizzata, un intreccio trasversale e pervasivo il cui radicamento sul territorio non si è costruito in una manciata di anni e va ben al di là della capitale.
Corruzione di pubblici ufficiali per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione e il controllo di appalti, associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, usura, riciclaggio, false fatturazioni, turbativa d’asta sono i reati contestati e che hanno portato all’arresto di 37 persone.
Tale sodalizio criminale che vede coinvolti esponenti del mondo politico e istituzionale ha permesso alla poliedrica organizzazione criminale di aggiudicarsi appalti, di decidere le nomine politiche e di orientare le elezioni. Negli ultimi anni ha speculato e tratto i maggior profitti proprio da quelle emergenze costruite ad hoc per legittimare politiche di espulsione e segregazione e per distrarre i cittadini dalle vere emergenze dell’Italia. Lo abbiamo scritto e denunciato in questi anni e anche su questo giornale. L’emergenza nomadi, dichiarata nel 2008 in tre aree metropolitane considerate ad alto rischio di allarme sociale (Napoli, Roma Milano) e la conseguente costruzione dei megacampi che, con una grande operazione di mistificazione, hanno chiamato «i villaggi della solidarietà», ha fruttato ingenti profitti e si sono rivelati molto più redditizi del mercato della droga. Le emergenze, siano esse calamità naturali, catastrofi o altri eventi che per intensità ed estensione «debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari» – per usare la lingua dei decreti ministeriali – sono spesso una operazione di mistificazione e occultamento della realtà. L’emergenza Nord Africa proclamata nel 2011 ha significato un dispendio di 1,5 miliardi di Euro in un sistema di accoglienza frammentato e insufficiente che non ha promosso percorsi di autonomia e di responsabilità, ma ha favorito un proliferare di enti gestori improvvisati che hanno affossato ed inquinato il già fragile sistema di accoglienza italiano.
E poi, naturalmente, ci sono l’emergenza rifiuti e l’emergenza casa sempre molto attuali e molto redditizie. Su queste emergenze, si è costruito un sistema di potere e di controllo che i giudici hanno definito «reticolare»: il successo delle organizzazioni criminali risiede, infatti, proprio nella loro capacità di lavorare in rete e di adattarsi con sorprendente flessibilità agli scenari e ai contesti politici che cambiano.
L’emergenza sin dall’inizio, insieme alla sicurezza, sono stati lo slogan che ha dominato e inquinato in Italia il dibattito sull’immigrazione, orientandone le politiche. Tale approccio emergenziale si è tradotto ciclicamente in misure provvisorie, eccezionali, straordinarie: dalle sanatorie sempre più ristrette alle dichiarazioni dello stato di emergenza vero e proprio. L’emergenza veicola un messaggio di continuo stato di allerta utile a mantenere l’opinione pubblica nell’ignoranza e prigioniera della paura, distraendola dalle vere emergenze di un Paese in crisi dove la disoccupazione è alle stelle, la corruzione metodo di lavoro, la precarietà del presente l’unico orizzonte possibile. L’emergenza agisce sul diritto: dall’emergenzialità si scivola presto verso un vero e proprio stato di eccezione che, nella felice definizione di Giorgio Agamben, si configura come un vuoto giuridico, una sospensione paradossalmente legalizzata del diritto che compromette seriamente il funzionamento delle costituzioni democratiche. Nello stato di eccezione saltano tutte le procedure ordinarie, incluse quelle di assegnazione degli appalti, si autorizza ad agire in via straordinaria e le procedure di controllo e la trasparenza non sono certo le priorità. Nello stato di emergenza le politiche di accoglienza e le politiche di espulsione convergono negli obiettivi e hanno in comune la dispendiosità, la inefficacia e soprattutto la disumanità. Nello stato di eccezione non c’è progettualità per il Paese e la vita dei cittadini e gli esseri umani sono ridotti a merce di scambio.
Mafia Capitale ci offre la possibilità di decostruire la narrazione ufficiale che ha fatto del binomio immigrazione – criminalità uno dei cavalli di battaglia più riusciti e che oggi mostra il suo vero volto.