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Cosa ci insegna la guerra della ex Jugoslavia?

«Europa e nazionalismi, cosa ci insegna la guerra della ex Jugoslavia» è il tema di un incontro che si terrà a Torino lunedì 21 maggio. Riforma.it ne ha parlato con il giornalista Rai, Stefano Tallia

«Europa e nazionalismi, cosa ci insegna la guerra della ex Jugoslavia» è il tema di un incontro (3 crediti formativi per i giornalisti) che si terrà a Torino lunedì 21 maggio dalle 20,30 nella Sala Toniolo di Palazzo Ceriana Mayneri in corso Stati Uniti 27.

«I Balcani continuano a essere una regione centrale per comprendere quale sarà futuro dell’Europa. Il ritorno dei nazionalismi accompagnato dall’affermarsi di governi autoritari in molti di questi paesi ha reso l’area nuovamente instabile», dice a Riforma.it Stefano Tallia, giornalista Rai e segretario dell’Associazione stampa subalpina e autore del libro insieme a Tamara Garcevic C’era una volta un paese, Effedì edizioni, prefazione di Luca Rastello.  

«A vent’anni dalla fine della guerra – prosegue Tallia, promotore dell’iniziativa – la serata di lunedì intende focalizzare l’attenzione su quanto accaduto nella ex Jugoslavia e fare il punto su come stanno andando le cose ai giorni nostri. Quell’area europea è stata la prima a sperimentare, pagandone un caro prezzo, una guerra “etnica”. Oggi la situazione geografica e politica è ancora molto confusa, per entrare nel vivo delle prospettive future e attuali, lunedì sera ne parleremo con Silvio Ziliotto, Tamara Garcevic, Daniele Socciarelli e Andreja Restek e Donatella Sasso».

Cos’è oggi l’ex Jugoslavia dopo i conflitti che l’hanno colpita nel 1991?

«L’ex Jugoslavia, com’è noto, oggi è formata da tanti piccoli stati: la Slovenia, la Croazia, la Bosnia ed Ervegovina, la Serbia, il Montenegro, la Repubblica di Macedonia, il Kossovo. Dal giugno del 1991, l’inizio delle ostilità, quel mosaico unico di convivenze geografiche creato da Tito alla fine della Seconda Guerra mondiale si è scomposto. Questo è un dato di fatto. Ciò che attraverso il mio libro e alla serata, con analisi e testimonianze, cercheremo di far emergere, è un dato preoccupante, ossia che all’interno di alcune di questi nuovi Stati, come ad esempio nella Bosnia Erzegovina, la scintilla che seppe accendere i fuochi nazionalisti da qualche tempo si è nuovamente accesa, con tutte le minacce che porta con sé. La Bosnia Erzegovina è tuttora un paese diviso, malgrado gli accordi di Dayton (dicembre 1995, ndr) che stabilirono la suddivisione dell’area e della nascita della Federazione croato-musulmana da una parte e della Repubblica Serba di Bosnia, dall’altra. Oggi, seppur vi siano forze predominanti, la situazione geopolitica balcanica si regge in uno stato di precario equilibrio. Alcune nazioni vicine, come la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, o più lontane come l’Arabia saudita, stanno approfittando di questa confusione, influenzando la componente musulmana residente in Bosnia con il chiaro tentativo di estendere la loro presenza in quell’area».

Qual è il rischio, se c’è un pericolo?

«Il rischio è che queste mire espansionistiche possano portare a nuove scomposizioni del paese, divisioni etniche e religiose, ad altri conflitti».

La serata di lunedì, e il libro, sono un monito per far sì che la storia non si ripeta?

«C’era una volta un paese è il tentativo di raccontare, con la parzialità di uno sguardo, pezzi di una nazione scomparsa e ferita che sanguinano ancora a pochi chilometri di distanza dai nostri confini. In un’epoca nella quale il nazionalismo peggiore è tornato di gran moda, l’ex Jugoslavia con la sua eredità di dolore è invece lì a raccontarci quale sia il pozzo nero dentro al quale questo sentimento può spingere l’umanità. Perché quando qualcuno inizia a dire “prima noi” e qualcun altro dall’altra parte della frontiera fa altrettanto, a decidere chi debba passare, nella storia dell’umanità, è sempre stata la guerra».