Animali metallici
16 maggio 2018
Al Mart di Rovereto si ripercorrono i cambiamenti artistici, culturali e sociali attraverso il culto dell’automobile nel XX secolo
Quella in corso alla Casa d’Arte Futurista Depero è una mostra che definisce un sentimento rispetto a un oggetto, l’automobile, che ha rappresentato una novità rivoluzionaria del modo di vivere e del paesaggio. I curatori, Federico Zanoner e Nicoletta Boschiero, uniscono due sguardi differenti, rispettivamente quello di un appassionato d’auto e addirittura quello di una persona senza la patente, dando quindi contributi differenti nel modo in cui il visitatore può percepire il soggetto della mostra. Il percorso si svolge temporalmente nel secolo delle grandi innovazioni scientifiche, il 1900, da quando i veicoli su ruote diventano popolari tra gli artisti delle avanguardie, passando da oggetto che definisce il concetto di design fino ad entrare, la Fiat 500, nella collezione del Moma di New York. Ne parliamo con Nicoletta Boschiero.
Come avete pensato di impostare la mostra?
«Siccome siamo presso la Casa d’Arte Futurista Fortunato Depero, ovviamente partiamo dal futurismo per poi arrivare ai giorni nostri. Marinetti, già nel 1908, un anno prima della firma del manifesto, dedica un’ode all’automobile, che all’epoca era un sostantivo maschile; sarà poi D’Annunzio a farla diventare femminile: le cambia genere perché l’automobile è considerata all’epoca qualcosa di molto eccitante. È curioso che proprio negli anni ‘20 il connubio auto/donna diventi molto presente sia nei manifesti pubblicitari che nelle opere.
Dopo la kermesse futurista secondo cui l’automobile era un sintomo di velocità, di potenza, di modernismo, le cose cambiano con il secondo dopoguerra. Negli anni ‘50, seppur all’inizio del boom economico, il sentimento nei confronti delle macchine è più attento nei confronti dell’oggetto, di quello che rappresenta in quanto bene lussuoso non adatto a tutti; c’è uno sguardo un po’ più democratico e polemico. Mi viene in mente in questo senso un’opera abbastanza emblematica di Vedova, non direttamente relativa all’automobile ma sul senso della macchina, che riporta verso l’idea di automatismo, con una messa in discussione dell’oggetto automobile che fino a quel momento era visto come straordinario e fantastico. Anche Dino Buzzati negli anni ’60 dedica un piccolo racconto a una coppia di sposi in cui il marito è talmente appassionato di automobili tanto da far entrare in crisi la moglie che decide di trasformarsi in automobile. Nei pieni anni ’70 l’auto entra in crisi e, ad esempio, Lamberto Pignotti ne fa un emblema con fotografie ritagliate da riviste e quotidiani che hanno una matrice molto effimera, descrivendo degli oggetto protagonisti per un giorno ma dimenticati subito dopo».
Il timore verso le innovazioni tecnologiche che oggi spesso si riscontra, era presente anche a inizio 900?
«Direi di no. All’inizio del secolo questo cambiamento tecnologico veniva abbracciato con entusiasmo dai futuristi che vedevano la possibilità di cambiamento, di fare tabula rasa rispetto a quello che c’era prima e la possibilità di spostarsi velocemente per poter raggiungere la meta subito. L’entusiasmo è fortissimo. Si prendono un po’ le distanze negli anni ‘60 e ‘70 durante i quali ci si è resi conto di essere diventati quasi schiavi di un oggetto che è di per se stesso un emblema di libertà ma che può avere un suo lato negativo. Pensando ai giorni nostri, vuoi per la crisi del petrolio, la macchina è diventata una cosa dispendiosa e un agente inquinante, per cui oggi l’automobile non è vista con la stessa passione».