Sempre più persone Lgbti scelgono di lasciare il loro Paese d’origine per cercare un contesto sociale più sicuro nel quale esprimere la propria identità di genere. Spesso la scelta è obbligata, perché in varie regioni del mondo la repressione è forte e il riconoscimento debole. In due terzi dei Paesi africani e in buona parte dell’Asia, le persone Lgbti rischiano il carcere o addirittura la pena capitale, mentre la pressione sociale e quella familiare costruiscono muri che in alcuni casi sono ancora più invalicabili di qualsiasi divieto. In numerosi contesti, il silenzio, l’invisibilità e la clandestinità sono d’obbligo, così come la migrazione.
Se il fenomeno della migrazione legata ai diritti civili riguarda anche, in parte, le persone Lgbti italiane che fino a poco tempo fa erano costrette a cercare all’estero un riconoscimento della propria identità e che oggi lo devono ancora fare per esempio in termini di genitorialità, va però sottolineato che proprio l’Italia, fra i Paesi dell’Unione europea, è all’avanguardia nell’accoglimento delle richieste di protezione internazionale presentate per motivi legati all’orientamento sessuale. Seguendo le tendenze globali, anche il movimento di persone Lgbti verso altri Paesi è in crescita, e questo ci impone di ragionare su un incontro tra realtà destinato a essere sempre maggiore, ma che non è ancora stato abbastanza esplorato.
Domani sera, sabato 7 aprile, a Bologna si cercherà di costruire proprio un momento di incontro e dialogo: allo storico Cassero LGBT Center, il primo centro di politica e cultura Lgbti riconosciuto in Italia, attivo sin dal 1982, si terrà l’evento Un Paese diverso. Visioni, cibo, musica e conversazioni tra persone Lgbti migranti e non. «Ci piace l’ambiguità di questo titolo – spiega Maurizio Cecconi, organizzatore dell’iniziativa – perché è un Paese diverso per molti motivi: perché le persone migranti vanno a vivere in un Paese differente rispetto a quello d’origine, ma anche perché è un Paese diverso l’Italia che cambia grazie all’arrivo, alla contaminazione, all’intreccio di biografie di persone che, grazie alla migrazione, hanno la possibilità di vivere assieme in un unico Paese. Noi pensiamo che questo intreccio produca un Paese diverso e migliore».
C’è un altro “noi”, ed è quello di una società europea che ha impiegato secoli per riuscire a superare il tabù dell’omosessualità e che ancora oggi non ha messo del tutto in discussione la natura patriarcale della società, fondata sulla superiorità dell’uomo e della donna. Questo nostro mondo entra in contatto con un “altro”, un “loro” che arriva da una storia molto differente. Qual è la particolare condizione della persona migrante Lgbti?
«Le persone migranti Lgbti, oltre a riconoscersi in una delle definizioni che compongono la sigla, sono appunto anche persone migranti, quindi vivono una molteplicità di discriminazioni che si vanno a sommare l’una sull’altra rendendo la loro vita particolarmente difficile. Hanno vissuto la discriminazione nel loro Paese d’origine, e questo è il motivo per cui in Italia vengono riconosciuti come rifugiati, perché la legge dà questo diritto al riconoscimento dello status di rifugiato in ragione della discriminazione sessuale oppure dell’identità di genere. Questo è il motivo per cui hanno scelto l’Italia, perché il nostro è uno dei pochi Paesi che riconosce il diritto ai rifugiati per questi motivi. Ma questa è l’unica notizia bella in mezzo a tante altre che invece non sono particolarmente felici, perché in Italia subiscono una discriminazione razzista. L’Italia è un Paese che negli ultimi anni ha espresso ed esprime rigurgiti di razzismo anche violento e questo razzismo italiano si insinua in una maniera sensibile, forte, anche dentro la comunità omosessuale italiana, che dunque a sua volta non è molto ben disposta ad accogliere persone che non sono di origine europea».
La scelta è stata quindi quella di puntare sull’incontro tra realtà diverse.
«Ci sembrava davvero importante fare sì che la nostra ragione d’essere come Cassero, ovvero quella di aiutare le persone Lgbt, potesse unire il lavoro insieme alle persone che sono Lgbt e che sono anche migranti e rifugiati e che in Italia non hanno voce né come migranti né come persone omosessuali. Ecco, vogliamo dare loro voce. Non è un evento paternalistico perché un’associazione come la nostra è fatta dalle persone che la abitano, quindi l’intento di questa serie di iniziative è di cambiare la nostra associazione, far capire a queste persone che la nostra associazione è fatta anche per loro, dunque vengano pure a modificarla, a cambiarla, a darsi da fare, a fare delle proposte. Cominciamo a conoscerci e a intrecciare le nostre storie».
Quando si parla di dare voce a qualcuno si parla di un gesto che implica anche l’atto di ascoltare. Cosa possiamo imparare dalle storie delle persone migranti Lgbti?
«Cosa impareremo domani non lo so, è una prima volta anche per noi e non posso sapere cosa avverrà finché non sarà avvenuto. Quello che però ho imparato prima, viaggiando molto, anche in parti del mondo particolarmente povere, è che lo stato sociale, quello che noi chiamiamo welfare state, cioè sanità pubblica, scuola pubblica, un livello di servizi che permettono alle persone di affrontare il futuro senza troppe ansie e paure, è davvero una cosa fondamentale per l’espressione delle libertà dell’individuo. Là dove lo stato sociale non esiste, l’unica forma di stato sociale è la famiglia, ma la famiglia è spesso un’istituzione conservatrice, quindi le persone migranti Lgbt arrivano da posti in cui la famiglia protegge quando c’è un problema, perché lo stato non lo fa e non aiuta, ma d’altra parte è il motivo per cui tante di queste persone scappano e decidono di affrontare viaggi molto difficili, ovvero il fatto che non sono libere di esprimere se stesse perché il controllo famigliare e sociale è estremamente forte. Da questo impariamo molto, abbiamo perso in Italia la coscienza dell’importanza dello stato sociale, lo vediamo abbattere da molto tempo e non interveniamo come cittadini per difenderlo a sufficienza. Dovremmo ricordarci che là dove non c’è, le nostre libertà come individui sono drammaticamente inferiori».