La realtà dell’amore
13 marzo 2018
Un giorno una parola – commento a Proverbi 15, 17
Meglio un piatto d’erbe, dov’è l’amore, che un bue ingrassato, dov’è l’odio
Proverbi 15, 17
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risuonante o uno squillante cembalo
Corinzi 13, 1
Il bue ingrassato era la pietanza delle grandi feste. Il piatto d’erbe, quella della vita modesta.
Dunque, la Scrittura antepone una purezza e obbedienza a Dio nelle relazioni umane al raggiungimento di uno status economico quantomeno benestante. L’amore in questione non è mero sentimento, ma condivisione quotidiana dell’amore di Dio nella vita personale, familiare e sociale.
Allo stesso modo, l’odio non è sempre vissuto come cieco furore, ma anche e soprattutto come rancore, invidia, sospetto, competizione con i prossimi, familiari e vicini, essenzialmente per emergere e assumere una posizione dominante. Il bue ingrassato è metafora di ricchezza e prestigio, che sono i traguardi che l’odio indica al cuore umano, allontanandolo e sviandolo dall’amore di Dio e del prossimo. Il peccato sovverte l’ordine di Dio: Dio è sopra tutti, mentre noi siamo messi… sull’altalena.
Col nostro peso, rialziamo il nostro prossimo, poi lui, a sua volta, innalzerà noi. Dove quest’ordine è sovvertito, allora pretendiamo che il prossimo ci innalzi costantemente, per prendere il posto di Dio. Certo, è complicato stare in piedi sull’altalena, cercando disperatamente di guadagnare centimetri verso il cielo e costringendo il nostro prossimo a fare da mero contrappeso. Ma questa è la prima fenomenologia del peccato: Dio ci chiama a una vita semplice e noi ce la complichiamo.
Ogni credente passa per momenti di prova. Affrontarli assieme a partner, famiglia, fratelli e sorelle in fede, amici, colleghi che sostengono, incoraggiano, consolano e aiutano, è grazia che non ha prezzo. Questa realtà dell’amore, e non il budget delle spese personali, qualifica il tenore di vita dell’essere umano amato da Dio.