Israele e la Chiesa, due parti del popolo di Dio
28 novembre 2014
Un giorno una parola – commento a Romani 11, 29
Colui che ha disperso Israele lo raccoglie, lo custodisce come fa il pastore con il suo gregge.
(Geremia 31, 10)
I doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili.
(Romani 11, 29)
Il conflitto che si è sviluppato al tempo del cristianesimo primitivo fra la Chiesa e il giudaismo, o meglio fra i cristiani e le autorità giudaiche, ha avuto conseguenze sulla lettura cristiana dell’Antico Testamento e nel rapporto con Israele. Questo non solo sul piano storico, ma soprattutto su quello teologico: problema ancora aperto. La Chiesa ricorda l’infedeltà plurisecolare di Israele verso Dio, ma non può negare che l’origine di Israele deriva da una vocazione e una promessa di Dio, confermate più volte da un patto e da tanti doni.
La chiesa si è identificata con il popolo della promessa, il popolo di Dio, il nuovo Israele: una autodeterminazione teologicamente corretta, come ci ricordano molte pagine del Nuovo Testamento. Ma non sempre ha chiarito in termini teologici il rapporto con l’Israele dell’Antico Testamento e con l’attuale popolo ebraico. Molti problemi storici sono derivati da questa mancata chiarificazione.
Il nostro versetto, che l’apostolo Paolo scrive per chiarire questo problema, ci indica la strada che lui ha percorso. Il punto fondamentale è che “i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili”. Quindi la Chiesa non può pretendere il posto storico e teologico di Israele, però è consapevole della sua origine da una vocazione e da un patto di Dio. Soluzione: Israele e la Chiesa sono due parti del popolo di Dio, Israele segnato dal primo patto, la Chiesa segnata dal nuovo patto. I due patti sono opera di Dio, ambedue irrevocabili. Le due parti costituiscono l’unico popolo di Dio. L’antagonismo e la squalifica fra i popoli dei due patti va superato.