Solo poche settimane fa, il 16 gennaio, era stata apposta di fronte alla Certosa di Collegno una delle numerose pietre d’inciampo che vengono installate ormai da anni in tutta Europa. Si tratta di un’opera ideata dall’artista tedesco Gunter Demnig per rinnovare la memoria delle vittime della Shoah: di fronte alle abitazioni di chi venne deportato dal regime nazista, o nei pressi dei luoghi a cui erano legati, viene posto un piccolo blocco in pietra ricoperto da una placca in ottone, che riporta il nome della persona ricordata, con le date di nascita, di deportazione e di morte.
A Massimo De Benedetti, che venne deportato ad Auschwitz nel 1944, era stata dedicata una di queste pietre a Collegno, sottratta però nella notte tra il 13 e il 14 gennaio da persone al momento non identificate.
«Divellere una pietra d’inciampo non è facile», commenta Guido Vaglio, direttore del Museo Diffuso della Resistenza di Torino, uno degli enti che coordina l’installazione di queste opere in Piemonte. Improbabile, quindi, che si sia trattato di un gesto estemporaneo. «Dire se questo gesto sia stato vandalismo fine a se stesso o se invece ci sia, come già è successo a Milano e a Roma, una presa di posizione politica nei confronti della memoria è difficile dirlo», conclude.
Il buco lasciato dalla pietra rubata non resterà però a lungo: il comune di Collegno si è già attivato per l’installazione di una pietra sostitutiva, perciò il marciapiede della Certosa di Collegno tornerà in tempi brevi a ricordare il nome di Massimo De Benedetti.
L'intervista a Guido Vaglio: