Non bramare la casa del tuo prossimo, né cosa alcuna del tuo prossimo
Deuteronomio 5, 21
Gesù dice: «State attenti e guardatevi da ogni avarizia; perché non è dall’abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita»
Luca 12, 15
Chiedere di entrare in possesso della propria parte di eredità, è legittimo. Prendersi cura dei propri beni, è saggio. Sia l’uomo che chiede a Gesù di intervenire nella contesa col fratello, sia il protagonista della parabola, non fanno nulla di sbagliato. Nei decenni passati, chi arrivava alla pensione e incassava la liquidazione, vi faceva affidamento per vivere serenamente gli ultimi anni: nessuno può affermare che fosse sbagliato! Tuttavia, quanto è sottile il confine tra possedere dei beni ed essere posseduti dai beni? Fra confidare in Dio per la propria esistenza e appoggiarsi sui propri averi per vivere?
Un’eredità, pur cospicua, può valere la rottura dei rapporti col proprio fratello? Un raccolto abbondante, può bastare a legittimare l’idea di essere “a posto” e non avere bisogno di niente e nessuno? Gesù dice: «State attenti». Non tutti cadono vittime del pericolo, ma questo è costante e insidioso. L’aspirazione ad avere il necessario può facilmente diventare il desiderio di possedere il superfluo, e questo sfociare nella cupidigia vera e propria.
I valdesi medioevali, che seguivano nudi un Cristo nudo, sembrano oggi degli invasati. Così come John Wesley, che disse: «Guadagna più che puoi, risparmia più che puoi, dona più che puoi», appare un pio sciocco. Forse, però, avevano compreso qualcosa che oggi è del tutto inattuale, quasi indicibile: «L’uomo non vive soltanto di pane, ma di tutto quello che procede dalla bocca del Signore».
Quando giacciamo in un letto d’ospedale, a che ci giova che a casa il congelatore sia pieno? Avere il pavimento di marmo di Carrara, ci eviterà forse di scivolare e romperci la testa? Le vite di una tuta blu, di un bracciante o di un mozzo sono fallite e meno oggetto dello sguardo benedicente del Signore, rispetto a quelle di un industriale, un latifondista e un armatore? Ciò che rende le nostre esistenze fonte di ringraziamento, spazio di speranza e qualcosa di unico e prezioso, non è quello che abbiamo, ma quello che siamo: creature amate da Dio.