Liberare la domenica?
21 dicembre 2017
La questione della chiusura obbligatoria degli esercizi commerciali nei giorni festivi in una riflessione di Davide Romano
Tratto da Notizie Avventiste
Con l’avvicinarsi del Natale e delle festività, complice anche la solenne promessa di un candidato di belle speranze che ha rispolverato la questione, guarda caso, in clima pre-elettorale, torna a far discutere la proposta della chiusura degli esercizi commerciali nei festivi e nelle domeniche della settimana per permettere alle famiglie di ritrovarsi unite in un unico giorno stabilito.
Su alcuni quotidiani, commentatori turbati denunciano la sciagura di un mondo del commercio e della produzione che lavora sette giorni su sette, e maledicono la liberalizzazione degli orari di apertura voluta dal governo Monti con il decreto “salva Italia” del 2011. Anche papa Francesco, nel corso dell’udienza generale di mercoledì scorso, è intervenuto per lamentare come sia andato smarrito il senso della “domenica illuminata dall’eucaristia” e ricordare a tutti che fu il “senso cristiano del vivere da figli e non da schiavi a fare della domenica – quasi universalmente – il giorno di riposo”.
La battaglia per affermare l’intangibilità della domenica è, com’è noto, combattuta anche a livello europeo dall’European Sunday Alliance, un network che aggrega comunità religiose, movimenti sindacali, parti sociali, e che celebra un recente successo in Germania nel giudizio favorevole ottenuto da un tribunale amministrativo contro le autorità comunali di Francoforte, ree di aver autorizzato alcune aperture domenicali degli esercizi commerciali senza giustificato motivo.
Si tratta di una questione che ha certamente una sua peculiare importanza e chi, come la Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno, ha fatto del giorno di riposo – in tal caso il sabato biblico – un segno anche distintivo, non ne sottovaluta certo la portata simbolica, semantica e religiosa.
Cionondimeno, se coloro che pongono questo tema vogliono anche sottolinearne la sua portata politica, riproponendo un giorno di chiusura – la domenica – tassativo per tutti e determinate festività di una tradizione religiosa come valide su tutto il territorio nazionale, allora vale la pena ricordare che, ancor più nelle nostre società multiculturali e multireligiose, imporre ope legis all’osservanza di tutti i consociati determinate festività religiose e uno specifico giorno di riposo settimanale, appare, a tutti gli effetti, una forzatura.
A giudizio di chi scrive, una democrazia liberale deve certamente consentire che negli ambiti lavorativi vengano rispettati i riposi giornalieri e riconosciuti i riposi settimanali. Questi ultimi possono talora essere concordati sulla base delle legittime richieste specifiche del singolo lavoratore che chiederà un giorno fisso di riposo in accordo con la fede religiosa praticata. In nessun caso tali istanze della coscienza dovrebbero essere sacrificate. Ma la generalità dei lavoratori deve poter scegliere quando riposare e quando lavorare. A un cattolico romano osservante potrà essere accordato, su sua richiesta, il riposo domenicale che gli consentirà di partecipare ai riti della propria confessione e potrà, per esempio, sostituirlo agevolmente un cristiano avventista o, poniamo, un musulmano, per il quale la domenica non comporta alcun impedimento religioso.
Anche la Commissione europea, nella recente comunicazione interpretativa 2017/C 165/01 relativa alla direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, è tornata sul punto 5 stabilendo che, contrariamente a quanto previsto dalla prima direttiva 93/104/CE, l’indicazione della domenica come giorno di riposo da fissare in linea di principio per tutti, non fosse giustificata. Si raccomanda dunque agli Stati membri di assumere le misure necessarie affinché – questo sì – ogni lavoratore benefici, per ogni periodo di sette giorni, di un periodo minimo di riposo ininterrotto di 24 ore.
Le uniche feste in cui l’intera nazione si ferma dovrebbero restare quelle laiche, come il 2 giugno, non quelle di una singola tradizione religiosa, per quanto indubbiamente maggioritaria.
Che le chiese dunque predichino alle coscienze dei propri fedeli il riposo settimanale e la giustissima partecipazione ai riti, non al Parlamento che deve invece rappresentare la generalità dei consociati senza coartare la libertà soggettiva di alcuno nel deliberare il proprio giorno di culto e di riposo.