Acat Italia, premio di laurea per fermare tortura e pena di morte
14 dicembre 2017
ll pastore Sciotto: « Bisogna continuare a parlare di tortura perché è la forma più bieca e becera di violenza»
Lunedì 18 dicembre alle ore 9.30 presso la Sala Walter Tobagi della Federazione Nazionale della stampa in via Corso Vittorio Emanuele II, 349 a Roma, si terrà la consueta cerimonia di consegna del Premio di laurea Acat 2017 "Una laurea per fermare tortura e pena di morte". Come ogni anno verrà premiata la miglior tesi di laurea dedicata a queste tematiche. Il progetto è finanziato con i fondi dell’Otto per mille della Chiesa valdese.
Per l’occasione, partendo dalle indicazioni della Fiacat, l’organizzazione internazionale che raggruppa le varie denominazioni nazionali di Acat e che quest’anno ha deciso di dedicare la Giornata mondiale per i Diritti umani del 10 dicembre alla questione minori stranieri non accompagnati, si terrà la tavola rotonda dal titolo:
“Minori stranieri non accompagnati - diritti, tutele, impegni”.
Prenderanno parte all’incontro: Filomena Albano Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Bruno-Marie Duffé Sacerdote - Segretario Pontificio servizio dello sviluppo umano integrale, Antonella Inverno Unità policy & law di Save the Children, Simonetta Matone Osservatorio Nazionale Famiglia e Sostituto Procuratore generale Corte d’Appello di Roma, Francesco Sciotto Pastore Valdese a Scicli progetto Mediterranean Hope, Sandra Zampa vice presidente Commissione parlamentare infanzia e adolescenza e prima firmataria della legge 47/2017 relativa ai minori stranieri non accompagnati.
A moderare l’incontro Claudio Paravati, direttore della rivista Confronti.
Proprio al pastore Francesco Sciotto abbiamo chiesto innanzitutto se ha ancora senso oggi tenere alta l’attenzione sul tema della tortura:
«Assolutamente si, tra l’altro oggi ha ancora più senso perché le Nazioni Unite hanno dichiarato la legge approvata dall’Italia per istituire il reato di tortura inappropriata, e pertanto da modificare. Quindi è molto giusto parlarne; l’Italia come molti altri paesi, e non solo del cosiddetto terzo mondo, è continuamente sottoposta a controlli di organi, anche europei, che si occupano di prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani degradanti. Bisogna dunque continuare a parlarne, la questione esiste, ed è la forma più bieca e becera di violenza perché è quella che mettono in atto le istituzioni nei confronti dei cittadini».
Il tema scelto quest’anno per la tavola rotonda è quello dei minori non accompagnati, per cui si intuisce che per estensione il termine tortura viene associato anche alle condizioni dei migranti. Una forzatura o una chiara e corretta scelta di campo?
«E’ molto interessante questa scelta, e sono curioso di conoscere le tesi che hanno portato a tale decisione. Credo si tratti di una forzatura consapevole che mi sento di sottoscrivere, perché la tesi di fondo è che ogni qualvolta vietiamo ad una persona di accedere ad un diritto, e i minori migranti sono una delle categorie più fragili, e se questo divieto per di più arriva dalle istituzioni pubbliche, dallo Stato, è come se ci trovassimo di fronte ad una tortura, alla negazione forzosa di un diritto. Penso a ciò che fa la polizia francese che trova un minore non accompagnato sul proprio territorio e lo riaccompagna in Italia, ma penso anche alla lacunosità dei procedimenti che hanno fatto si che in questi ultimi anni si siano perse le tracce di circa 70 mila minori giunti in Europa. Mi pare dunque una tesi interessante, quantomeno da sviluppare insieme».
Come si legge sul sito di Acat Italia nel marzo 1974 un pastore valdese, Tullio Vinay, testimoniò a Parigi sui metodi di tortura usati sui prigionieri politici in Vietnam. Una signora, Hélène Engel, allora settantreenne, ne rimase talmente sconvolta che decise di impegnarsi in una azione per sensibilizzare le Chiese allo scandalo della tortura.
«Non posso dirmi cristiana e continuare a vivere come se non sapessi niente» gridò allora Hélène Engel. Convinta che una azione veramente cristiana non poteva che essere ecumenica, Hélène Engel e Edith du Tertre decisero di voler “agire”, fare qualche cosa per aiutare i fratelli esposti a tale rischio. Erano due cristiane e trovarono nel messaggio di Cristo una forte spinta: entrambe appartenenti alla Chiesa Riformata, decisero di rivolgersi a tutti i cristiani, senza distinzioni. Si appellarono allora ad alcune personalità della Chiesa cattolica romana, protestante ed ortodossa.
Il loro appello fu ascoltato. Alcuni rappresentanti delle tre confessioni fondarono il 16 giugno 1974 a Versailles la Acat. In Francia si realizzò rapidamente una rete di gruppi Acat distribuita su tutto il territorio.
Sin dal principio, l’Acat ha scelto di lavorare su basi cristiano-ecumeniche, mettendo insieme Cattolici, Protestanti, Ortodossi e altre confessioni cristiane.
Il 2 aprile 1983 si è tenuta a Roma, presso la sede del Movimento Rinascita Cristiana, un incontro per portare in Italia l'idea di Acat. Furono coinvolti lo stesso Tullio Vinay, esponenti di Acat Francia, tra cui Jaqueline Westercamp, membri del Seminario Francese di Roma ed amici che da allora partecipano attivamente alla Acat Italia, quali Maria Assunta Zuccari, Elisa Tittoni ed Eva Thieme. Con il contributo della Chiesa Valdese di Roma e del Movimento Rinascita Cristiana, Acat Italia è nata il giorno stesso e da allora opera assieme alle consorelle di tutto il mondo; è stata una delle prime attive in Europa ed è tra le associazioni fondatrici della Fiacat - Federazione Internazionale delle Acat.