Il 24 ottobre 2016 veniva smantellata la gigantesca baraccopoli di Calais, in cui erano stipate in condizioni spaventose migliaia di persone, 7.400 per l’esattezza al momento della conta finale da parte delle autorità. Molti altri però si erano già allontanati nei giorni precedenti, alla notizia della chiusura di questo avamposto sulla Manica, ultimo insormontabile ostacolo prima dell’agognata Gran Bretagna, e quindi la contabilità risulta per difetto ( si stima fosse di oltre 10 mila persone la capienza media).
Le 7.400 donne, uomini e bambini sono stati trasferiti nei 301 Centri di accoglienza e orientamento (Cao) sparsi su tutto il territorio francese. Creati nel 2015 i Cao sono i luoghi in cui preparare e affrontare i primi passi per la legalizzazione: vi si presentano le domande di asilo per poi venire spostati nei meno improvvisati centri di accoglienza per i richiedenti asilo (Cada).
Secondo i dati dell’Ufficio francese per l’immigrazione e l’integrazione (Ofii) il 42% fra queste persone ha ottenuto il diritto di asilo o una qualche forma di protezione sussidiaria, mentre il 46% è ancora nelle liste di attesa in attesa di un giudizio definito. Il 7% sarebbe la percentuale dei rimpatriati perché senza i requisiti necessari. 5466 donne e uomini sono stati accompagnati nei Cao, 1952 minori non accompagnati sono finiti nei centri a loro dedicati. 515 fra questi ultimi, a seguito di un accordo con l’Inghilterra volto a favorire i ricongiungimenti dei minori con le famiglie, sono stati trasferiti oltre Manica, ma di contro di 709 si sono perse le tracce, fuggiti prima che la loro situazione venisse chiarita.
Dopo alcuni mesi di relativa calma, dalla primavera di quest’anno i migranti hanno ricominciato ad arrivare, provenienti principalmente da Eritrea, Etiopia e Afghanistan.
Secondo i dati forniti dal governo francese al momento a Calais sono ancora presenti 500 migranti, ma sia le Organizzazioni non governative (che parlano di 700) sia il sindaco (che fissa la cifra al migliaio) hanno riscontri più elevati.
Se il turismo e le attività portuali hanno ripreso un minimo di respiro e se gli attori economici hanno notato un lieve miglioramento, la situazione dei profughi è invece nettamente peggiorata. Non esistono più presidi fissi in cui rifugiarsi, nutrirsi, beneficiare degli aiuti umanitari disponibili. Ora i volontari per distribuire cibi e vestiti devono spostarsi fra i vari luoghi di aggregazione improvvisati, e l’inverno glaciale di queste latitudini è alle porte. Sono almeno 4 i luoghi in cui si raccoglie chi arriva qui, spesso raggruppati per nazionalità e provenienza, ad attendere furgoni che li raccolgono per condurli verso lavori saltuari.
Dopo le clamorose denunce di questa estate da parte di importanti organizzazioni come Human rights Watch e Secours Catholique relative a presunti avvelenamenti con gas lacrimogeni dell’acqua potabile nelle taniche e del cibo riservati ai migranti, in maniera tale da obbligarli ad andarsene, un’inchiesta è stata avviata. Ciò che non cessa è purtroppo l’abuso dell’utilizzo dei gas da parte delle forze dell’ordine, utilizzati per stanare dai boschi i migranti che vi hanno trovato rifugio e nascondiglio. Dopo una serrata battaglia legale il 31 luglio scorso il Consiglio di Stato ha obbligato il prefetto a garantire un minimo di servizio sanitario a questi disperati, altrimenti abbandonati nei campi: venti latrine, due serbatoi d’acqua e 28 docce. Prima di allora era semplicemente come se con la chiusura della giungla il problema dei profughi non esistesse più, ma così appunto non era. «La volontà di non veder creato un nuovo mega luogo di assembramento è un’ossessione per le autorità» – commenta al settimanale francese “La Vie” Vincent de Coninck, project manager di Secours Catholique a Pas-De-Calais che denuncia «le condizioni di vita abominevoli di chi oggi è qui. Una violenza che si pratica anche con il sequestro dei pochi beni e con una rimozione sistematica e instancabile dei presidi, onde evitare che qualcuno vi si fermi. Tutto ciò complica terribilmente il lavoro per gli operatori umanitari e stiamo assistendo al ripresentarsi di casi di scabbia, varicella, tubercolosi».
«Misure dissuasive sono prese nei confronti delle associazioni e dei privati cittadini che aiutano i migranti – conclude de Coninck- . Insieme ad altri chiediamo la costruzione di luoghi di sosta, di “case dei migranti” in transito, mentre le autorità negano semplicemente che esistano. Ma dovremo lasciarli sedere e riposare da qualche parte senza che ogni dieci minuti ci sia qualcuno a molestarli e ad intimidire loro e chi desideri aiutarli. Il governo deve cambiare atteggiamento». L’inverno è alle porte, le temperature di notte scendono sotto lo zero già da alcuni giorni. Nel cuore dell’Europa un altro presidio di illegalità da parte di un governo si sta perpetrando nel silenzio quasi generale.