O Dio, noi abbiamo udito con i nostri orecchi, i nostri padri ci hanno raccontato l’opera da te compiuta ai loro giorni, nei tempi antichi
Salmo 44, 1
Che dirò di più? Infatti mi mancherebbe il tempo se volessi raccontare di Gedeone, Barac, Sansone, Iefte, Davide, Samuele e dei profeti, per i quali per fede vinsero regni, praticarono la giustizia, conseguirono le promesse, turarono le gole dei leoni, spensero la forza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trassero forza dalla debolezza
Ebrei 11, 32-34
In tanti luoghi di culto la domenica mattina viene il magone. Se ci si guarda attorno, le sedie vuote sono immancabilmente più numerose di quelle occupate. Se si passa a considerare le persone, nella maggior parte dei casi o sono anziane o sono molto anziane. Volti noti ma, per quanto cari, sempre quelli. Così, il ritornello è sempre lo stesso: «Siamo pochi, siamo anziani, i giovani non si fanno mai vedere, che possiamo fare?». E sul futuro di quella chiesa si addensano fosche nubi e tristi previsioni… Già, che possiamo fare?
In mezzo allo scoraggiamento, ci giunge la risposta della Lettera agli Ebrei: «Per fede». Siamo talmente concentrati e ripiegati su noi stessi, tanto presi dalla contemplazione del nostro ombelico – io, noi – che ci dimentichiamo di alzare gli occhi e guardare in alto. Dodici uomini crearono un popolo, altri dodici cambiarono il mondo: non erano una folla e nemmeno dei Superman. Eppure, noi oggi potremmo allungare, e di molto, l’elenco presente nella Lettera.
Pensiamo a noi stessi e invece dovremmo pensare a Dio. Sappiamo chi è, cosa ha fatto, cosa vuole: mediante donne e uomini come noi ha compiuto opere impensate, gesti sorprendenti. Abramo era anziano; Mosè non parlava bene; Geremia era un ragazzino; Pietro un impulsivo; Tommaso uno scettico; Paolo un persecutore… Persone migliori di noi? Viste a posteriori, forse, sì, ma sul momento? Giacobbe, quando si addormentò mentre fuggiva via dal fratello Esaù e sognò una scala che univa terra e cielo e udì la promessa del Signore, era tutto tranne che un bravo ragazzo! (Gen. 28, 10-22).
Siamo noi: questa è la nostra umanità, non culliamoci con false illusioni. Lo stesso, però, vale per Dio: è lui, è la sua santità. Il Signore opera, quindi può operare. Questo ci sostiene e ci consente di sperare. Per fede in lui, qualcosa possiamo intraprendere, tentare: anche se siamo pochi, anche se siamo anziani. Se Sara partorì Isacco nella sua vecchiaia, perché noi non potremmo dar vita a qualcosa di nuovo?