Sola Scriptura
28 giugno 2017
La rubrica «La Riforma Protestante. Fatti, personaggi, idee», a cura del pastore C. Pasquet, è andata in onda domenica 25 giugno durante il «Culto evangelico», trasmissione di Radiouno a cura della Fcei
Fino alla Riforma la teoria dei due pilastri su cui poggiava la chiesa, Scrittura e tradizione, non si poneva neppure. Era convinzione accettata che lo Spirito Santo agisse nella Chiesa, mediante la gerarchia e il suo magistero, dandole l’autorità per interpretare la Scrittura. Tale autorità poteva andare oltre la Bibbia stessa, poiché la tradizione autorizzava il magistero a definire nuovi dogmi anche quelli che non avevano base alcuna nella Sacra Scrittura.
La Riforma avverserà questo principio, collegandosi così a quei movimenti antecedenti che, criticando la deriva non scritturale della chiesa medievale, avevano provato a rimettere la Bibbia al centro, ma questo tentativo avrà pieno successo solo dalla protesta di Lutero in poi.
Questo comporterà una serie di scelte che, per brevità possiamo solo riassumere per sommi capi.
Innanzi tutto la Bibbia sottratta all’interpretazione del magistero della chiesa, diventa la fonte ispiratrice della vita e degli insegnamenti della chiesa stessa. Essa viene sottoposta al libero esame di tutti i credenti e si faranno enormi sforzi per far conoscere alle masse la Bibbia traducendola nelle lingue moderne. Non a caso tutti i paesi e i movimenti che aderiranno al protestantesimo pubblicheranno una nuova traduzione della Bibbia nella lingua dei popoli a cui ci si rivolgeva. Seguendo così l’esempio dato da Lutero che, già nel 1522, aveva tradotto il Nuovo Testamento nel tedesco popolare.
Questo bisogno di leggere, studiare e approfondire il testo biblico, inciderà profondamente la cultura dei paesi protestanti. Essi sentiranno il bisogno di promuovere l’alfabetizzazione perché ogni credente potesse esaminare liberamente la Sacra Scrittura, e da essi usciranno musicisti come Bach o scrittori come Melville le cui opere sono permeate di cultura biblica.
Non sarà più il mistero dell’incarnazione nell’ostia a costituire l’apice del culto, ma la riflessione sulla Parola. La Bibbia assume così il ruolo di fulcro del culto cristiano e la lettura e la predicazione sui passi biblici diventano momenti centrali del culto stesso. Ne deriva che il pastore non è più un sacerdote che media la presenza di Cristo nell’eucarestia, ma un credente uguale agli altri che ha fatto studi di teologia, i cui compiti sono l’insegnamento e la predicazione della Parola.
Inoltre la Scrittura diventa «parola di Dio» non solo per la Chiesa e per i suoi insegnamenti, ma per ogni credente. Ogni uomo o donna protestante deve poterla leggere e meditare liberamente sapendo che essa contiene il messaggio di Dio per lui o per lei.
Certo il libero esame comporta dei rischi, ma esso non significa libertà di interpretare il vangelo secondo i miei capricci. Piuttosto significa l’impegno del credente a rendersi conto personalmente delle verità di fede poiché, dalla Riforma in poi, credere non è obbedire ma capire. Correndo tutti i rischi che sono collegati alla libertà.