Tutti sappiamo del diario di Anna Frank. Un altro importante documento che testimonia di quel periodo è stato prodotto da una giovane ebrea tedesca: Charlotte Salomon. Si tratta di un’opera che raccoglie un immaginario visivo e poetico originale e che soprattutto racconta la sua storia e quella della sua famiglia, da prima che nascesse, passando attraverso l’infanzia, l’adolescenza, l’avvento del nazismo e i problemi che hanno dovuto affrontare i suoi famigliari e in particolare il padre medico, e poi l’esilio. Come racconta il curatore, il professor Bruno Pedretti, la raccolta di immagini è uno dei canti tragici più alti del secolo. È la testimonianza di quella altissima società di cui lei è rappresentante e a cui dà voce, quella ebraica europea che in Germania aveva sviluppato nei decenni precedenti una cultura straordinaria. Ma il suo lavoro ha anche un grande valore testimoniale determinato dalla fine tragica della morte ad Auschwitz.
A Palazzo Reale a Milano, fino al 25 giugno, sono esposte le tavole che l’autrice ha realizzato negli ultimi mesi della sua vita e che lei stessa ha intitolato Vita? o Teatro?
Chi era Charlotte Salomon?
«Una figura, a mio avviso, tanto importante quanto sconosciuta. In particolare in Italia non c’è mai stata una sua mostra mentre, a partire dagli anni ’60, e poi con una seconda ondata negli anni ’90, ha avuto varie esposizioni nelle grandi capitali europee ma anche fuori: a Chicago, Tokyo e a New York.
Charlotte Salomon, in sintesi, nasce a Berlino il 16 aprile 1917 e muore ad Auschwitz, presumibilmente il 10 ottobre 1943, il giorno stesso in cui arrivò, incinta.
Questa donna, data la sua formazione artistica, tra il ‘40 e il ‘42, quando era profuga a Villefranche-sur-Mer, vicino a Nizza, e in seguito a un altro evento luttuoso, decide di dipingere tutta la sua vita. Un’opera che prenderà il nome di Vita? o teatro? che è esposta a Milano a Palazzo Reale, in forma antologica con una scelta di 270 sue tempere».
A partire da questo titolo, che caratteristiche associamo a questa donna sensibile e intelligente?
«Una donna di grande talento. In molte tempere traspare la qualità non solo artistica e visiva di questa sua opera molto temeraria, ma viene fuori anche in tante altre cose, da riflessioni, dal percorso di studi che ha fatto, dalle citazioni che compaiono, dai riferimenti intellettuali, culturali e poetici. Se da una parte quest’opera ha un valore testimoniale altissimo, perché inserita storicamente in quegli eventi tragici, ha anche una qualità espressiva che fa emergere una personalità artistica di straordinaria levatura. Questo suo racconto è una vera e propria opera d’arte totale che raccoglie immagini e testo. Un lavoro gigante basato su una selezione di 769 tempere che lei sceglie tra altri 1325 documenti tra fogli, disegni, altre tempere scartate e varianti, create nell’arco di 18 mesi. Noi ne presentiamo 278, ovvero la mostra standard che il museo ebraico di Amsterdam, dove risiede la fondazione Salomon, propone.
Il racconto autobiografico non inizia con la sua nascita, ma con il suicidio della giovane zia dalla quale lei eredita il nome, un gesto che segna in modo tragico il destino delle donne della famiglia: dopo la zia si toglieranno la vita la madre e la nonna. Questo elemento simbolico del gesto sacrificale della donna che si toglie la vita è presente in più parti dell’opera di Charlotte.
Quando questa serie di suicidi del ramo materno della sua famiglia le viene rivelato, nel 1939, lei cade in una profonda crisi depressiva dalla quale prova a riprendersi con l’arte, cominciando l’opera e mettendo insieme più di 1300 immagini e testi da cui seleziona le 769 tempere.
Pochi mesi prima di essere arrestata dalla Gestapo affida il suo lavoro a una persona fidata che lo porterà in salvo in America».
L’ambiente in cui ha vissuto in che modo ha influenzato la sua creatività?
«La famiglia era piuttosto agiata e possedeva una ricca biblioteca, vivevano a Charlottenburg, già allora uno dei quartieri più ambíti dalle fasce sociali alte di Berlino. Al liceo ha certamente ricevuto molti stimoli, quindi possiamo dire che ha vissuto in un ambiente favorevole allo sviluppo delle sue capacità intellettuali frequentando anche l’Accademia di Belle arti.
Guardando le 278 opere vediamo l’evoluzione interna a questo linguaggio che io definisco una sorta di originalissima iconografia dove immagine e parola devono sempre andare insieme. Nella prima parte lei usa ancora un segno espressionista tipico dell’epoca, soprattutto in area mitteleuropea, a cui sovrappone dei dialoghi usando l’aggiunta di veline. Nella parte centrale comincia ad abbandonare la sovrapposizione delle veline e comincia a far entrare le parole direttamente nei quadri con una serie di astuzie: come articolo di giornale, per esempio, oppure come manifesti o lettere. Le parole diventano sempre più dialoghi che vengono fuori dai personaggi, diventando parte integrante dell’immagine. Icona e grafia diventano la stessa cosa. Poi, verso la fine dell’opera, realizza cinque o sei pagine tirando le somme della sua opera dipingendo solo le parole.
Si tratta di un’opera d’arte totale perché si incarna e si incardina nella sua stessa vita, e l’unica arte totale è quella dove l’opera è un’estensione della vita, dove la vita diventa opera d’arte».