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Rilanciato dagli ultimi avvenimenti di cronaca, il dibattito sul tema della legittima difesa è tornato a occupare alcune prime pagine di giornali e a muovere i lavori parlamentari.

Lunedì 10 aprile alla Commissione Giustizia della Camera è ripartito l’esame della proposta di legge, firmata dal deputato Pd David Ermini, per rivedere l’attuale normativa in materia, e da mercoledì 19 aprile il provvedimento comincerà il suo percorso in aula in un clima di forte divisione e polarizzazione, spinto da un dibattito che non tiene conto di un fatto: in Italia i reati, soprattutto le violazioni di domicilio, sono in calo e in generale non si può parlare in alcun modo di “emergenza sicurezza”.

Patrizio Gonnella, giurista e presidente dell’associazione Antigone, definisce il clima di paura «surreale e pericoloso».

Che cosa prevede la legge oggi in vigore?

«Prima di tutti bisogna ricordare che appena undici anni fa, nel 2006, il dibattito era lo stesso di oggi e c’era stata una modifica legislativa all’articolo 52 del codice penale che prevede la legittima difesa. Parlando in termini tecnico-penalistici, venne prevista l’estensione della scriminante, cioè della causa di giustificazione, fino ad arrivare a giustificare chi nel proprio domicilio, in modo anche sproporzionato, ha una percezione di pericolo rispetto a una persona che entra per fini di vario tipo, senza essere stato autorizzato. In questo contesto venne estesa la scriminante anche ai casi avvenuti sul luogo dove la persona lavora, e quindi con questa anche la possibilità di essere giustificato nell’ipotesi in cui si fa uso delle armi anche quando si percepisce soltanto un pericolo, quindi non solo per difendersi da un’aggressione».

Come si è arrivati a questa modifica?

«La norma originaria, il codice Rocco, era del 1931, in epoca fascista, e non era minimamente un codice liberale, bensì fascista, quindi aveva una grande forza e istanza di tipo repressivo. Nel 2006 venne modificato dalla Lega Nord, che era al governo da cinque anni. Ecco, bisognerebbe far notare anche questo: adesso propongono una modifica alla loro legge, quindi dal loro punto di vista hanno legiferato male, mentre dal mio non bisognava proprio legiferare, neanche nel 2006».

Questo nuovo dibattito parlamentare è frutto di un percorso politico o è figlio dell’emotività portata dai fatti di cronaca?

«Purtroppo è proprio il secondo caso. Valerio Onida, che è un grande giurista, ex presidente della Corte costituzionale, una volta affermò che il legislatore deve stare zitto e la politica deve tacere nelle 72 ore successive ai fatti di cronaca, perché altrimenti si finisce per promettere interventi e legiferare sulla base dell’emotività di un evento. Ecco, questo è il peggio che può accadere nell’ambito della legislazione penale».

Come mai?

«Questo ce lo insegnano alcune grandi democrazie: la legislazione penale deve rimanere sempre nell’ambito della giustizia ordinaria, che consente di prevedere gli eventi e di superare i fatti di cronaca affrontandoli in linea generale. Per esempio, negli anni Novanta si era acceso un dibattito legato ad alcuni episodi drammatici di ragazzini che buttavano i sassi dal cavalcavia e che purtroppo avevano ucciso alcune persone. Ecco, allora ci furono varie proposte di legge di “omicidio tramite sassi dal cavalcavia”: è una follia giuridica, perché l’omicidio è omicidio. Questo serve a dire che la legittima difesa era già ben strutturata e scritta, tant’è che se effettivamente colui che si difende è in buona fede, non finisce in galera».

Non viene nemmeno indagato?

«Attenzione: ovviamente dovrà essere indagato, ma lo sarà anche se dovesse passare la proposta della Lega Nord, perché il pubblico ministero dovrà comunque andare a verificare se per esempio aveva il titolo per possedere e maneggiare un’arma da fuoco, oppure se la persona che entrava in casa era un parente invece che un ladro. Ecco, per questo le indagini ci saranno comunque, ma se si è in buona fede già oggi si è scriminati: se non si spara alle spalle dell’altro in fuga, cosa che vorrebbe la Lega Nord, già oggi si viene giustificati e non puniti come la giurisprudenza ci sta dicendo che accade».

Quindi perché intervenire ancora?

«Il mio timore è che il partito di maggioranza, il Partito Democratico, si faccia trascinare all’interno di un dibattito che è tutto televisivo. Nei talk show televisivi troviamo persone che fanno ethnic profiling, la profilazione etnica del criminale, persone che invocano leggi più dure, ma quello che colpisce è che si vede mai un giurista, un accademico o un penalista, qualcuno che spieghi per esempio il principio di proporzionalità, cioè che per difendere 200 euro non si può ammazzare una persona, che la vita vale di più. Invece la proposta firmata da Ermini, del Pd, prevede che si possa essere non responsabili nel caso, attuale oggi, di eccesso colposo, cioè persino quando hai sbagliato e quella persona non è un ladro. A Roma fu famoso il caso del calciatore Re Cecconi a cui venne sparato mentre stava facendo uno scherzo. Lui aveva una pistola finta ma il gioielliere gli sparò e lui morì. Ecco, neanche la storia ci insegna quacosa».

Al di là della legge, a quali immediate conseguenze sta portando questo dibattito?

«Ci porta a quello che il questore di Milano ci ha raccontato, cioè alla follia della rincorsa alle armi: si sono triplicate la richieste di porto d’armi, ma il questore di Milano non ne sta più concedendo, anche perché a Milano i reati stanno calando. È tutta una costruzione a tavolino, fatta da imprenditori della paura, che sono anche pezzi della politica. Il fatto è che se la televisione privata porta avanti una certa linea su questo tema, semplicemente fa il suo mestiere, perché punta solo a fare numeri e soldi, ma se lo fa la tv pubblica è scandaloso che si chiamino sempre e solo in causa degli istigatori d’odio, che affermano la bontà di sparare al primo che ci capita davanti, mentre non si coinvolgano professori di diritto costituzionale o giudici. E quindi come costruiamo l’opinione pubblica: con la paura?».

Immagine: via Flickr

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