Le nazioni che saranno rimaste attorno a voi conosceranno che io, il Signore, ho ricostruito i luoghi distrutti e ripiantato il luogo deserto
Ezechiele 36, 36
Simeone pregò: «… i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparata dinanzi a tutti i popoli per essere luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele»
Luca 2, 30-32
Simeone era un uomo anziano. Gli anziani, si sa, grazie all’esperienza di vita, non si illudono più di tanto e non coltivano tanti sogni. In Simeone, però, dice il Vangelo, agiva lo Spirito di Dio, e quello Spirito gli aveva rivelato che prima di morire avrebbe visto con i suoi occhi la tanto attesa e sospirata salvezza di Israele. Simeone credeva a questa promessa e continuava a sperare.
La sua fu una speranza ben risposta: la parola di Dio non esce mai a vuoto (v. Is 55, 11); e fu così che potette riconoscere in un bambino come tanti, la sospirata salvezza di Israele.
Perché tra tanti bambini presentati al tempio, proprio Gesù? Perché Simeone si fidava di Dio. Il suo non era un Dio ingannevole, e la fede gli faceva riconoscere in Gesù l’adempimento delle antiche promesse.
Giovanni ci dice che Simeone era giusto e timorato di Dio, dunque Simeone rappresenta quella parte di umanità che, al di là di ogni apparenza, vede la salvezza lì proprio dove non se l’aspetta: nella debolezza di un bambino povero.
La preghiera di Simeone è tenerissima: «ora posso morire, perché il Signore mi ha confermato la sua fedeltà che ha preordinato la salvezza a tutti i popoli». Sono semplici parole che attestano che l’esclusivismo di Israele è superato e la salvezza è universalmente fruibile.
Tutto questo è rivelato nella debolezza di un fanciullo, povero figlio di gente povera.
Questa è una sfida per il cristiano moderno. Oggi, tempo in cui ognuno è pronto a saltare sul carro del vincitore, la chiesa è pronta e riconoscere la sua forza stando dalla parte degli ultimi, dei deboli?
È qui il non senso dell’amore di Dio, di un Dio che si è umiliato, facendosi uomo, per stare dalla parte degli ultimi. Siamo noi pronti a raccogliere questa sfida?