Dopo numerosi rinvii e modifiche in Commissione, lunedì 13 marzo il disegno di legge sul testamento biologico è arrivato alla Camera. Tuttavia, la discussione sulla proposta di legge 1142 si è limitata alla discussione generale, fatta di 17 interventi in quattro ore, due questioni pregiudiziali e quattro richieste di sospensiva portate avanti in un’aula di Montecitorio praticamente vuota.
La questione del fine vita divide da sempre la politica italiana, mentre in seno alla società civile raccoglie il consenso di un’ampia maggioranza, trasversale per età, classe e appartenenza politica, che va dal Partito radicale fino al presidente della Pontificia Accademia per la vita.
La proposta di legge affronta i temi del consenso informato e del fine vita, ma non si occupa né delle pratiche di suicidio medicalmente assistito né di sedazione palliativa profonda, tanto da essere considerata un passo in avanti molto timido nella direzione di una legge organica che regoli la parte finale della propria vita. Tuttavia, secondo molti parlamentari e partiti di orientamento conservatore bisogna considerare la nutrizione e l’idratazione come trattamenti vitali e non come terapie, e per questo l’idea di disposizioni anticipate di fine vita nasconde in sé il rischio di aprire al suicidio assistito. Il rischio è che l’ostruzionismo parlamentare porti a un tradimento dello spirito della legge, oppure al suo allontanamento nel tempo fino alla fine della legislatura, come già accaduto in passato a proposte simili, imbastite e dimenticate.
Per Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, «se dovessimo limitarci qui a stare a guardare le probabilità che di rinvio in rinvio si arrivi alla fine della legislatura allora dovremmo dire che sono davvero alte».
Di fronte a un tema così importante, l’aula della Camera era vuota. Ce lo si poteva attendere?
«Oltre a deprecare l’assenza dei parlamentari bisognerebbe anche riflettere su come funziona il sistema dell’informazione, perché se all’apertura di un dibattito in plenaria in Parlamento fosse stata accompagnata una diretta televisiva da parte del servizio pubblico, una minima copertura mediatica, allora ci sarebbe stata una motivazione in più per i parlamentari per andare in aula. Parlare male dei politici è molto facile ed effettivamente in questo caso la scena è stata deprecabile, ma il sistema per coinvolgere l’opinione pubblica e quindi collegare Parlamento e paese passa attraverso l’informazione. Non mi risulta che questa settimana il servizio pubblico per l’informazione radiotelevisiva abbia dedicato un solo approfondimento televisivo in prima serata nei grandi contenitori politici».
L’approdo della discussione alla Camera ci avvicina veramente alla legge?
«Non è detto. Francamente fare previsioni è davvero poco utile, noi cerchiamo più che altro di realizzare l’obiettivo. Il problema è il tipo di coinvolgimento: le pressioni dall’esterno da parte dell’opinione pubblica e le vicende di chi vive questo tipo di problema sono l’unica speranza per dare una spinta a queste decisioni».
La Lega Nord ha descritto la legge come un’eutanasia “per omissione”. Cosa significa?
«Intanto il termine “eutanasia” può essere utilizzato con tanti significati. Se si intende morire “bene”, nel modo “meno peggiore” possibile, cioè senza soffrire e seguendo la propria volontà allora e infatti è una parola della quale gli italiani non hanno paura. È chiaro che questa legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento non è sull’eutanasia in senso stretto, cioè la possibilità di farsi somministrare da un medico una dose letale di una sostanza che ponga termine alla vita. Qui si tratta di poter scegliere sulle terapie, scegliere quindi anche di sospendere delle terapie che tengono in vita, essere accompagnati alla morte attraverso la sospensione delle terapie e la possibilità che lo si scelga anche attraverso un documento, appunto il testamento biologico. Bisogna tenere in conto l’eventualità che un giorno, non essendo in grado di intendere e di volere, la nostra volontà dovrà essere ricostruita ed interpretata, ma se c’è un documento allora può essere indicata in modo chiaro. Si tratta di due temi evidentemente distinti che hanno in comune l’importanza di tenere al centro la libertà e la responsabilità individuale. È chiaro che se non si riconosce ai cittadini in diritto di scegliere ogni minima apertura fa gridare allo spettro dell’eutanasia che per me non è uno spettro ma è un altro obiettivo da perseguire».
C’è la possibilità di arrivare in fondo con un testo che non tradisca lo spirito della legge?
«I numeri dicono sulla carta che i parlamentari a favore di una legge che tenga fermi due princìpi come quello del del carattere vincolante del testamento biologico e della possibilità di rinunciare anche all’idratazione e nutrizione forzata ci sono. La tentazione di compromessi di vario tipo, magari anche per non minare eccessivamente la compattezza della coalizione di governo, ha già portato in Commissione alcune modifiche negative che vorremmo fossero superate dall’aula: tra queste un riferimento di principio alla tutela della vita, che in realtà vuole essere utilizzato per ostacolare la volontà della persona e anche la questione del rinvio alla deontologia professionale, al codice deontologico, che è un inserimento che i medici organizzati nella corporazione, anche contro la volontà di tanti medici, hanno chiesto proprio per inserire la possibilità di una forma di obiezione di coscienza strisciante all’interruzione delle terapie. Spero che questa parte venga superata attraverso gli emendamenti, però c’è anche il rischio che siano invece approvate modifiche in senso opposto, che svuotino il significato del testamento biologico. Insomma, bisogna restare vigili».