Lettera aperta al pastore Robert Jeffress
09 marzo 2017
La Chiesa battista di Roma-Centocelle ha scritto al pastore battista che ha officiato il culto il giorno dell’insediamento del presidente Trump
La chiesa battista di Roma-Centocelle ha scritto una lettera aperta al pastore Robert Jeffress che officiò il culto il giorno dell’insediamento del neopresidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump. La lettera, evitando di inseguire il destinatario della missiva sul terreno delle affermazioni ad effetto rilanciate dai media americani del tipo: «Obama ha lastricato la strada per l’anticristo», «la Chiesa cattolica è stata traviata da Satana», «le persone LGBT hanno uno stile di vita miserabile e sporco che inevitabilmente conduce alla depressione e all'alcolismo», contesta il modo in cui si legge e si interpreta la Bibbia, denunciandone la strumentalizzazione.
Riportiamo di seguito la lettera.
«Caro pastore Jeffress, siamo fratelli e sorelle della Chiesa battista di Roma Centocelle. Abbiamo letto il testo del suo sermone di insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti. Molti di noi hanno provato grande disagio per le sue parole e discutendo insieme ci permettiamo, da fratelli a fratello, di spiegare le ragioni per questo disagio.
Come fratelli e sorelle battisti/battiste tutti rivendichiamo la libertà di leggere e interpretare personalmente la Bibbia. Questo però impone a ciascuno di noi la grande responsabilità, quando le circostanze ci espongono a una platea vastissima di ascoltatori che per la grande maggioranza non ci conoscono, di offrire una predicazione che non privilegi pesantemente interpretazioni assai controverse all’interno delle nostre chiese, che verrebbero percepite, invece, come proprie di tutti i battisti. Ci ha addolorati constatare che, a nostro parere, lei non ha sentito questa responsabilità, né nelle affermazioni adulatorie verso il nuovo Presidente profuse nel suo sermone né nella scelta di un testo biblico che, nella sua interpretazione, intende dimostrare che la Bibbia non è affatto contraria, anzi incoraggia la costruzione dei muri. Ma, a nostro parere, lei non tiene conto che Neemia (1:11) racconta la ricostruzione delle mura di un paese distrutto. Dunque, un conto è leggerlo con riferimento alle rovine di Gerusalemme o di Aleppo, un altro è assumere quel testo per giustificare la chiusura di un paese ricchissimo verso i poveri che fuggono dalla miseria e dalle guerre. Per inciso, lei sottolinea che Dio non ha chiamato un leader del popolo, ma un eccezionale costruttore edile, suggerendo che questa fosse l'opera più urgente di cui il popolo di ritorno dall’esilio aveva bisogno. Ma non è così: il primo e fondamentale bisogno, che nel racconto precede la costruzione delle mura, è quello di ricostruire il tempio e con esso la propria identità di popolo del patto e le sue tradizioni religiose.
Abbiamo l’impressione che lei abbia isolato un singolo testo dall’insieme del messaggio biblico. In questo modo si corre il rischio di estrarre dalla Bibbia un messaggio che non le è proprio. Ci sembra poter in lei rilevare una scarsa attenzione verso chi è vulnerabile. Come lo era la stessa famiglia di Gesù, che è dovuta fuggire dalla persecuzione delle autorità. Il fatto che la fede cristiana si fondi in un Dio che si incarna in una famiglia di profughi, obbliga tutti i credenti ad una particolare attenzione verso di loro, ancora oggi. Potremmo elencare ancora tanti altri testi che esortano il popolo di Dio non a respingere con dei muri, ma ad accogliere con amore gli stranieri che bussano alla nostra porta. Come cristiani abbiamo un solo criterio interpretativo sicuro, la Parola incarnata in Gesù, il quale, come ricorda Giovanni, ci ha rivelato il vero volto del Padre («Chi non ama non ha conosciuto Iddio; perché Dio è amore»), polemizzando con tutti coloro che sia in passato («avete udito che fu detto agli antichi, ma io vi dico...») sia nel suo tempo («guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta e dell’aneto e del comino, e trascurate le cose più gravi della legge: il giudicio, e la misericordia, e la fede») hanno profanato il nome di Dio usandolo per escludere, opprimere, uccidere o fare da stampella al potente di turno. L’amore di Dio e l’amore per il prossimo sono per noi l’unico criterio interpretativo di tutta la Bibbia e di tutta la storia del rapporto fra Dio, l’umanità e il creato.