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È stata prorogata fino al 10 gennaio la mostra Bruno Munari: aria|terra, presso Palazzo Pretorio di Cittadella (PD). Un successo dovuto in larga parte all’interesse delle scuole che offrono, grazie al percorso espositivo, la possibilità di cimentarsi nel confronto con l’arte ma anche con le attività previste dalla mostra. Infatti la didattica e l’approccio alla creatività è stata una parte fondamentale della vita di Bruno Munari, artista, designer e scrittore milanese, capace di unire diversi approcci alla disciplina artistica, traghettando l’Italia verso la contemporaneità, grazie al suo lavoro.

È soprattutto il diritto alla creatività, il concetto che pare più rilevante in questo percorso, come ricorda il curatore della mostra Guido Bertorelli: «c’è un bel detto secondo cui, se tutti sono creativi, è giusto che se lo possano permettere; non tutti mai saranno artisti, però è giusto che nessuno sia schiavo dell’impedimento alla creatività». Il percorso, quindi, accoglie tutti, anche chi non è sempre pronto a visitare una mostra di arte contemporanea ma che conosce comunque Bruno Munari.

La carriera di questo artista è varia e lunga. Come avete deciso di affrontare il percorso espositivo?

«Effettivamente si tratta di una carriera lunghissima e incredibilmente varia, con invenzioni di tutti i tipi. Nel modo in cui abbiamo concepito la sintesi presentata in mostra forse c’è anche la ragione del successo che ha avuto. Siamo partiti dall’idea che questa straripante produzione di Munari non debba essere spezzata: è così varia che c’è chi l’ha suddivisa in segmenti artistici, in cui l’artista, per esempio, dipinge e produce delle opere con le sue mani e si attiene a quella modalità che in genere chiamiamo opera d’arte, lui stesso la chiama così. Poi c’è anche il Munari che non si affida più alla sua manualità ma introduce tutto il suo talento di artista nei canali di produzione industriale per cui il lavoro, l’opera, è un prodotto in serie che pertanto costa meno e può raggiungere un pubblico che va ben oltre l’élite dei pochi fortunati che si possono permettere un pezzo unico d’artista. Il prodotto di design di Munari, però, è da considerare inserito in una concezione dell’arte unitaria, che a un certo punto prende consapevolezza che la nostra società è arrivata a un punto per cui tutti quanti chiedono di poter partecipare alla gratificazione di avere il prodotto di una grande intelligenza o di una grande mente creativa. Per ottenere questo, però, bisogna che il prodotto sia realizzato industrialmente. Il design è un’evoluzione del concetto di arte. Infine, l’ultima evoluzione che ha avuto Munari in questa sua riflessione su cosa debba essere l’arte nella nostra società, è quella di dire che, in fondo, anche il designer è un esempio elitario: è uno dei pochi che può permettersi di sperimentare le gioie della creazione. Perché quindi limitarci ad avere pochi creano, e tanti che attendono dall’artista o dal designer l’opera d’arte? Bisogna allora che l’artista o il designer si metta a insegnare agli altri a essere creativi. Dagli anni ‘70, ma con diverse anticipazioni, Munari si preoccupa soprattutto di mettere a punto dei laboratori che insegnano la creatività e la diffondano a tutta la popolazione, il che è un insegnamento di forte attualità. Il digitale e il web hanno eccitato e stimolato la creatività di tutti, lui però ci insegna a non essere mai banali, a impiegare sempre l’intelligenza, la consapevolezza degli strumenti e lo studio. C’è un’evoluzione che in questa mostra abbiamo voluto tenere unita».

Quanto è presente l’aspetto ludico in ognuno di questi passaggi?

«Il gioco è sempre presente, però direi che non è il suo primo obiettivo. Se c’è gioco è inteso proprio come una cosa seria e non come puro divertimento; gioco allora può essere quel momento in cui si supera la banalità perché si vanno a rovistare fino in fondo i mezzi, i materiali, li si sperimenta verso usi inediti. Diventa come il gioco del bambino che smonta il giocattolo per capire come funziona per poi magari rimontarlo in maniera tutta diversa e reinventare nuovo possibilità. Se il gioco è a questo livello di possibilità, anche di conoscere attraverso di esso, allora si. Munari in questo è inesauribile».

Possiamo considerare Bruno Munari una specie di ponte tra due epoche?

«Sicuramente, soprattutto un ponte tra primo e secondo ‘900. È stato una figura chiave: si è detto l’ultimo dei futuristi perché fa ancora in tempo a essere nel gruppo di Marinetti, Balla e Depero, però è giovanissimo rispetto a loro, anche se già si fa notare. Diventa poi un punto di riferimento, per l’autorità che ha acquisito, per altri artisti più giovani del secondo ‘900. Per esempio è sua l’espressione “arte programmata” con la quale si identificano in Italia le esperienze di optical art o di arte cinetica. I più giovani vedono in lui un punto di riferimento e accolgono tanti stimoli dalle sue opere. Poi direi che Munari ha avuto la capacità di inventare, di non arrestarsi mai nel suo stile, sulle invenzioni già raggiunte, per cui uno degli aspetti che riconosciamo come più interessanti è che quando si mette a fare i laboratori, che considera come il lavoro ultimativo della sua carriera, mette in atto un’idea di arte basata sul processo, sulla relazione, sulla partecipazione. Questi sono termini che sono all’ordine del giorno, sui quali artisti e critici stanno lavorando».

Immagine: via Fondazione Palazzo Pretorio Onlus

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