Montevarchi, quasi 25.000 abitanti a metà strada tra Arezzo e Firenze, è balzata agli onori delle cronache per la decisione dell’attuale giunta municipale di dare pane e olio ai bambini delle famiglie morose, cioè non in regola con i pagamenti delle tasse previste per la mensa scolastica. Le colpe dei padri, è proprio il caso di dirlo, ricadono sui figli.
I servizi si pagano, perché i servizi costano, e, nella logica dei numeri, che spesso è il sol dell’avvenire in molti ambienti, talvolta anche nei Sinodi, la spietatezza dei numeri produce risultati come questo. Ma la discussione sui numeri distrae dal vero problema che, a Montevarchi come a Trapani, a Riesi come a Torre Pellice, a Padova come ad Agrigento è: quanto vale un diritto, quanto costa la civiltà?
Sulle proprietà organolettiche e ottime dell’olio e del pane fresco non c’è discussione. E probabilmente la salubrità del menù dei «morosi» sarà superiore ad altre più industriali preparazioni. Ma qui il problema è, ovviamente, pedagogico. Tanto più nelle scuole «pubbliche» le domande sul valore sociale dell’azione intrapresa assumono un significato molto rilevante.
A Riesi, nelle Scuole del Servizio cristiano, ad esempio, la mensa ha un valore democratico e non solo pedagogico. La condivisione del pasto è estremamente importante sia nella relazione dei bambini, delle bambine tra loro sia nella relazione dei bambini e delle bambine con l’Istituzione scolastica che, per loro, rappresenta la primissima forma di organizzazione strutturata e ordinata esterna alla famiglia. E sarebbe molto interessante conoscere il pensiero della scuola, o delle scuole che si sono ritrovate a dover applicare decisioni dell’Amministrazione comunale che intervengono nel processo educativo e pedagogico delle scuole, mortificandolo.
Le diverse «riforme», fino alla buona scuola, non hanno sradicato l’idea della mercificazione delle conoscenze, la parcellizzazione degli apprendimenti. Autovalutazione, prove standardizzate, presidi manager hanno consolidato l’idea che la scuola debba diventare, e in parte è già diventata, una organizzazione burocratica che eroga servizi (educativi, formativi, etc…), quindi forma il cittadino-consumatore mortificando le esperienze pedagogiche, didattiche. Purtuttavia, le scuole si adeguano. E, fino a oggi, non sappiamo di prese di posizione dei docenti di Montevarchi, come di Grosseto solo per limitarci ai casi più recenti. L’idea che i diritti fondamentali vengano subordinati a valutazioni economiche è dominante. E non ci sfiora il pensiero che creare ghetti fin dalla tenera età genererà discriminazioni ben più violente in tutte le fasi della crescita e dell’esperienza umana dei bambini e delle bambine.
Mangiare insieme, gli stessi cibi, a differenza di altre attività che usano, invece, una didattica differenziata, racchiude un messaggio importante: la condivisione. Io e te allo stesso tavolo, non importa che tu sia più o meno ricco di me, non importa che tu sia figlio, figlia di disoccupato o di professionista o di un migrante, durante la mensa mangiamo insieme, condividiamo lo stesso cibo, siamo uguali pur restando diversi e la nostra diversità si nutre dello stesso «pane».
Molte sono le altre tasse su cui l’Amministrazione avrebbe potuto operare il recupero del mancato pagamento delle morosità, andando a colpire i genitori inadempienti. Colpire i bambini, le bambine per costringere i genitori a pagare, è odioso e vigliacco. Eppure questa logica è molto diffusa. Diffusissima. E, prima di condannarla sugli altri, dovremmo ben riflettere se anche noi, quando ne abbiamo la possibilità, preferiamo la facilità della ritorsione, talvolta subdola, all’intelligenza della comprensione, della ragionevolezza, del confronto, della trasparenza.