Anche quest’anno torna la Giornata Europea della Cultura Ebraica. Domenica 10 settembre, infatti, in 81 località italiane e in centinaia in tutta Europa, sarà possibile conoscere meglio una delle culture più antiche e ricche del mondo.
L’edizione 2017 è la diciottesima e il tema è Diaspora: Identità e dialogo. Tre parole che portano con sé esperienze e storie, individuali e collettive, che compongono un mosaico fondamentale per la stessa cultura europea e occidentale.
Sira Fatucci, responsabile della giornata per l’Ucei, Unione delle comunità ebraiche italiane, racconta che «tra gli ebrei italiani c’è un grande attaccamento alle tradizioni ebraiche, altrimenti il popolo d’Israele non sarebbe sopravvissuto all’inizio della diaspora e anche alle difficoltà di oggi. Certo, per la realtà israeliana il significato di diaspora è ancora più particolare. Abbiamo nel cuore le nostre tradizioni, i nostri modi di percepire la realtà, la cultura e così via, ma sempre con un occhio attento all’integrazione e a far conoscere una parte di noi che viene vista con curiosità e interesse anche dai non ebrei».
Quello di diaspora è un concetto che percorre numerose culture e che spesso viene percepito e descritto come negativo. Eppure, la produzione artistica, letteraria e culturale ebraica è figlia anche di queste esperienze traumatiche. Nel 2017 si ricordano i 50 anni dalla Guerra dei Sei Giorni, che tra le sue conseguenze ha avuto l’espulsione degli ebrei dai Paesi a maggioranza araba, in quella che viene ritenuta essere la più recente delle diaspore. Quale contributo ha dato questo evento alla produzione culturale ebraica?
«L’apporto degli ebrei provenienti dai Paesi arabi in Italia, e in particolare penso a una comunità ebraica come quella di Roma, è stata fondamentale. Penso per esempio ai libici, che hanno dato un grande impulso per ridare vita ad alcune tradizioni ebraiche che si stavano addormentando, ma anche a livello di commercio e in tante altre manifestazioni. Penso a figure come il professor Meghnagi, che da sempre si spende per far comprendere quello che può essere stata la diaspora. Anche a Milano per esempio ci sono moltissimi siriani, persiani e comunque provenienti da diversi Paesi arabi che hanno trovato in qualche modo un rifugio e una nuova patria in Italia. È stato un Paese, devo sottolineare, molto accogliente».
Oggi il termine diaspora ha ancora un valore concreto, fisico, geografico, o ne ha assunto uno più ideale?
«È importante una premessa: in ebraico ci sono due termini per definire “diaspora”. Uno è golah, che tradurrei proprio come diaspora, e l’altro è galuth, che significa invece esilio, e che ha un riferimento ideale e anche molto nostalgico verso la terra d’Israele. Dalla golah, dalla diaspora, aggiungendo una lettera, che è la aleph, la prima lettera dell’alfabeto ebraico, si arriva alla geulah, che è la redenzione. È come se la redenzione possa passare attraverso la diaspora, un esilio forzato ma anche molto produttivo e creativo. Se non ci fosse stata la diaspora il popolo d’Israele probabilmente non avrebbe avuto il talmud, che è il punto di riferimento massimo per la cultura ebraica e per i suo precetti».
Parlando del programma, qual è la spina dorsale di questa edizione?
«Quest’anno capofila delle manifestazioni sarà la Sicilia in generale e Palermo e Catania in particolare. A Palermo con la cerimonia di apertura si darà il via a tutti gli eventi che poi a seguire ci saranno in tutta Italia. Sarà presente la presidente dell’Ucei, Noemi Di Segni, insieme ad altri rappresentanti della comunità ebraica. Ci sarà un convegno, ci sarà un concerto di musiche diasporiche e prima ancora ci sarà, presso l’istituto Goethe, la proiezione di un film sull’importanza della lingua tedesca per gli ebrei che sono andati in Israele, quindi una cosa molto sofisticata e particolare. Insomma, di fianco a manifestazioni molto divulgative ci sarà questo tentativo di “scintille di cultura” per quello che può essere offerto in un giorno».
Programma completo della giornata