Ieri, il quotidiano Libero, riferendosi alla bimba trentina morta di malaria, apriva la sua prima pagina con caratteri cubitali con questo strillo: «Dopo la miseria portano le malattie» e il sommario precisava «Immigrati affetti da morbi letali diffondono infezioni. Basta che una zanzara punga prima un malato e poi uno sano e quest’ultimo, muore. Il governo se ne disinteressa e insiste con l’accoglienza».
Poi l’apparato di titolazione chiudeva con un «catenaccio», cioè una notizia che viene inquadrata nello stesso ambito tematico del caso di malaria: «I verbali dello stupro di Rimini: Violenza oltre ogni immaginazione e doppia penetrazione».
I direttori di Libero e de Il Tempo, che sempre ieri titolava «Ecco la malaria degli immigrati», sicuramente sanno che nel 2008 i giornalisti italiani si sono dotati un codice deontologico noto come la «Carta di Roma» che contiene alcune regole alle quali devono attenersi quando si occupano di rifugiati, profughi, richiedenti asilo o vittime della tratta: «Dettati – ricorda Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma, fondata nel dicembre 2011 per dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, siglato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (Cnog) e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) nel giugno del 2008, associazione della quale la Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) è fondatrice e membro del direttivo – , che derivano dal principio deontologico, fondamentale, quello che impegna i giornalisti a restituire ai lettori la verità sostanziale dei fatti».
Infatti, nel testo unico dei doveri del giornalista approvato dal Cnog nelle riunioni del dicembre 2015 e nel gennaio 2016 e in vigore dal 3 febbraio successivo, la Carta di Roma è pienamente recepita. Carte deontologiche, come quella di Roma «o si applicano o si abrogano», ricorda il professor Paolo Naso, politologo e coordinatore di Mediterranean Hope (Mh), programma rifugiati e migranti della Fcei,a Federazione delle chiese evangeliche in Italia .
«L’onda lunga di un’estate di razzismo in cui si sono succeduti fatti gravi contro immigrati, soprattutto di colore, continua ancora oggi. La caccia all’untore – prosegue Naso – lanciata da alcune testate e alcuni gruppi politici è un fatto gravissimo che deve interrogare anche la coscienza delle comunità di fede. Il rispetto dei diritti umani, la dignità della persona, la protezione di richiedenti asilo e di chi fugge da guerre e persecuzioni – conclude – sono alla base di ogni società democratica. Alimentare le paure, le diffidenze, razzismi, non significa soltanto attentare alla sicurezza e alla dignità degli immigrati ma anche minare al cuore i fondamenti della democrazia».
I titoli dei due quotidiani, infatti, rischiano di deformare le notizie di stravolgerle, e nei quali, mere supposizioni passano come fatti: «a partire da un caso unico verificatesi in circostanze ancora in via di accertamento di un contagio avvenuto all’interno delle mura di un ospedale – prosegue Bellu sul sito dell’Associazione Carta di Roma –, si tenta di accreditare l’idea che gli immigrati (gli stessi che stuprano, come suggerisce il catenaccio di Libero), portino anche malattie letali. Si tratta semplicemente di una notizia falsa. Cosa che, nello stesso sommario di Libero, è corroborata da una descrizione del processo di trasmissione della malaria, analogo negli effetti al morso di un cobra».
Ci sarebbe da ridere se il problema non fosse serissimo, prosegue Bellu, «due organi d’informazione, attraverso la falsificazione della realtà, gettano un altro po’ di concime nel terreno, purtroppo già fertilissimo, dove germoglia il discorso d’odio. Naturalmente faremo un esposto disciplinare, nella speranza che possa essere esaminato al più presto. Non siamo in presenza soltanto di una violazione della “Carta di Roma”, ma della norma su cui si fonda l’intera deontologia dei giornalisti».
Nell’attesa che qualcosa si muova anche Riforma, insieme all’Associazione Carta di Roma, si permette di rivolgere a Nicola Marini – il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti – una domanda: questo modo di procedere è compatibile con la nostra professione?