Ogni tanto ritorna nell’ambiente mediatico e culturale del nostro Paese la definizione del protestantesimo come nemico di ogni forma di immagine o di arte sacra. Naturalmente la realtà è più complessa delle reazioni che la stretta attualità della distruzione della moschea di Mosul può suscitare. Nel corso del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi del 2016, una serie di interviste di Radio Beckwith evangelica, al contempo riprese da Riforma.it, fecero il punto sui complessi rapporti tra arte e chiese della Riforma. In una delle conversazioni condotte da Susanna Ricci il pastore Emanuele Fiume, affrontando il tema dell’iconoclastia, faceva chiarezza su due questioni fondamentali.
In primo luogo gli episodi più clamorosi avvennero per opera di credenti che si sentirono presi in giro: avendo ricercato immagini o anche reliquie e pagato lettere di indulgenza per la salvezza dei loro cari, venuti a contatto con una nuova predicazione che negava questo valore salvifico, si accanirono contro le immagini; e d’altra parte – proseguiva Fiume – teologicamente (nel Catechismo di Heidelberg) si negava alle immagini, che sono di per sé mute, la capacità di evocare il Dio vivente. Naturalmente, alla base del rifiuto delle immagini c’è l’indicazione della Scrittura e il divieto di farsi immagini di Dio. Se l’uomo, secondo la Genesi, è fatto a immagine di Dio, non può farsi egli stesso, come uomo, autore di una ulteriore immagine di Dio.
«In realtà la battaglia intorno alle immagini – ci dice Federico Vercellone, docente di Estetica all’università di Torino e autore del recente Il futuro dell’immagine (ed. Il Mulino, 2017), più che nella Riforma fa capolino in epoca medievale; il Concilio di Hieria fu iconoclasta – ma l’iconoclastia era intrecciata con le politiche imperiali [imperatore bizantino era all’epoca Costantino V, ndr] (754); il II Concilio di Nicea, invece (787), ripristinò la libertà dell’uso delle immagini. Aggiungerei però il caso, oltre ad alcuni accenti di Girolamo Savonarola, e agli episodi clamorosi che coinvolsero anche gli hussiti, del vescovo Claudio, iconoclasta “in prima persona”». Proprio in ricordo di questo anomalo personaggio, vescovo a Torino dall’818 all’827, la tipografia e successivamente l’editrice Claudiana ne presero il nome, per opera del pastore valdese Jean-Pierre Meille nel 1855: Claudio, mai deposto, fu addirittura considerato (come scrisse il pastore e professore Emilio Comba in un volume del 1895 poi ripubblicato dalla Claudiana nel 2004) un precursore del valdismo, per la sua avversione al culto dei santi e della madonna.
In ogni caso, aggiunge Vercellone, «il dibattito si è posto anche all’interno dello stesso cattolicesimo, o fra cattolicesimo e ortodossia, e si sviluppò nella dialettica fra l’immagine che deve essere sostanzialmente illustrativa e quella che ha un intento pedagogico, come potrebbe essere considerato il ciclo della Cappella degli Scrovegni a Padova. Non sempre si ritiene che l’immagine debba avere un “contenuto di verità”; e ancora, va fatta la distinzione tra le immagini destinate alla venerazione e quelle per l’adorazione».
Ha fatto scalpore, nell’abbattimento della moschea di Mosul, il fatto che questa operazione sia venuta da parte islamica, ancorché estremistica, cioè come per un eccesso di rigore verso la propria tradizione: siamo stati abituati invece, per esempio nella guerra della ex-Jugoslavia, a veder oltraggiare le immagini «degli altri»... «L’iconoclastia in epoche più vicine a noi assume altre finalità – spiega il docente i Estetica –: in casi di scontri e guerre, si tratta di tagliare le radici simboliche di un popolo avverso, per distruggere la sua identità; o addirittura si sostituiscono le radici simboliche di qualcuno, anche di una religione, mettendone altre al posto. È il caso del cimitero di Aquileia, dove il sito con le tombe austriache [prima della Grande Guerra la città era sotto controllo dell’Austria, ndr] fu stravolto, ne fu eradicato il monumento alle vittime austriache, rimpiazzato da quello dedicato agli italiani. Fu anche adornato con dei bossi provenienti dalla Toscana, che non avevano niente a che vedere con il contesto paesaggistico di Aquileia». D’altra parte, quante cattedrali cristiane sono state edificate al di sopra delle vestigia romane, sostituendo un culto con un altro?