Nell’anno che ricorda l’avvio della Riforma non manca un fascicolo dedicato dalla rivista Micromega all’argomento, anche se in realtà l’«Almanacco di religione»* propone anche altri testi, dedicati al modo in cui alcuni intellettuali, italiani e non, hanno vissuto il proprio rapporto con la pratica religiosa. Un rapporto spesso contraddittorio, e forse non potrebbe essere diversamente, trattandosi di piccole «autobiografie» spirituali: tra gli altri Moni Ovadia, Erri De Luca, scrittore e traduttore di pagine della Bibbia ebraica, il matematico Piergiorgio Odifreddi, lo scrittore tedesco Martin Walser, impegnato a spiegare come il filosofo Bertrand Russell, dichiaratamente ateo, fraintese – secondo Walser – la religione.
Walser fa ampiamente riferimento a Karl Barth e al suo commento all’epistola ai Romani, per chiarire quale tipo di religione fosse stato dichiarato superato, in primo luogo dal teologo riformato svizzero stesso. Ciò che Russell dichiarava come limite della religione, era rivendicato da Barth come superamento della religione stessa, a vantaggio della fede: «È una illusione sentimentale (...) – cita Walser da Barth – il ritenere che si possa in qualche modo condurre dalla natura e dalla storia, dall’arte, dalla morale, dalla scienza, o addirittura dalla religione una via diretta verso l’impossibile possibilità di Dio». Dio è altrove, «... Colui (...) in cui si può soltanto credere sperando senza speranza».
Un confronto diretto a due voci, sotto la guida di Micromega, coinvolge Fulvio Ferrario, decano della Facoltà valdese di Teologia, e mons. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna: ne esce una lezione di metodo, che ripercorre gli aspetti in cui il dialogo ecumenico si mostra più produttivo, non scantonando di fronte alle asperità. Un certo accordo viene trovato sulla nozione di unità nella diversità, ed è un bene, perché nessun vero, serio ecumenista si sogna oggi di annettere l’interlocutore alla propria scuderia. Ma d’altra parte Ferrario chiarisce che la maggior parte delle «diversità» ritenute dirimenti fra confessioni, sono in realtà dirimenti per uno solo degli interlocutori, diversità «... interne a una e una sola struttura della Chiesa, centrata su uno e uno solo modello episcopale». Gli evangelici – spiega Ferrario – sono riusciti a superare delle divisioni, «trasformandole in una comunione nella diversità, di cui sono elementi costitutivi e irrinunciabili la predicazione e la «celebrazione di alcuni riti» (due soli i sacramenti per il protestantesimo): tuttavia questa idea della diversità, «compatibile con la piena comunione, non è condivisa da Roma», anche in seguito alla non superata «divergenza sulla struttura della Chiesa».
La multiformità dell’arcipelago protestante, frutto della libera interpretazione (a partire dai secoli scorsi) e quindi del frazionismo (ancora oggi), contestato nei secoli da parte cattolica, viene assunto nella parte centrale del fascicolo quasi come l’unico elemento di modernità e quasi unico lascito positivo da parte della Riforma. Nella sezione «Iceberg 3 – Riforma e libertà» due storici importanti, Massimo Firpo e Adriano Prosperi, e un filosofo di punta del pensiero laico, Carlo Augusto Viano, prendono di petto i limiti dell’azione di Lutero e l’inadeguatezza della Riforma protestante nell’affermare l’autodeterminazione dell’individuo. Intorno a quella che è stata chiamata libertà di coscienza (unita al libero esame delle Scritture) si sarebbe creata un’illusione, crollata di fronte agli esiti più «politici» (una politica di segno innegabilmente conservatore) che Lutero e i successori dettero alle loro idee: la ricerca del favore presso alcuni principi, la battaglia contro i contadini – Calvino, ovviamente, in quest’ottica, fu molto peggio. Una nuova ortodossia si affiancò a quella del cattolicesimo, plurale, magari, ma pur sempre autoritaria.
Il problema stava nel manico, giacché la libertà di accesso ai testi sacri ne permetteva le interpretazioni più fondamentalistiche (Viano), «un fondamentalismo che il cristianesimo romano aveva tenuto a bada e la loro libera lettura generò interpretazioni o fortemente arbitrarie o strettamente letterali». Vero. Anzi, lo fece «mettendo fuori gioco le mediazioni tra formule religiose, credenze e modi di vita correnti». Il pensiero non può non andare alla «Leggenda del Grande Inquisitore» contenuta nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij: molto meglio – vien da dire – e più rassicurante, affidarsi a qualcuno che garantisca di ammorbidire i toni, di gestire le contraddizioni e di impedire che la libertà degeneri in incertezza e sbigottimento, prima ancora che nella sfrenatezza e nell’eresia. In Italia questo collante fu rappresentato, più che bene, dal suo punto di vista, dal partito dello scudo crociato. Ma tant’è.
Manca, certo, la dimensione della fede, perché gli autori partono da un’altra prospettiva interpretativa: manca in questi testi la consapevolezza che la Riforma fu anche un nuovo modo di mettersi a confronto con la Parola di Dio; manca l’idea che la questione della libertà non consiste tanto in forme di autodeterminazione impensabili nel XVI secolo, quanto nella convinzione (una convinzione di fede, o la si ha oppure no, e non si può chiederla a chi non l’ha) non tanto di essere liberi, quanto di essere stati resi liberi da Dio in Cristo – su questo tema si leggano molti dei contributi al volume collettivo La coscienza protestante, a c. di E. Bein Ricco e D. Spini, Claudiana, 2016, in particolare il contributo di D. Tomasetto. A meno che si pensi che la Libertà del cristiano debba essere un testo politico. In ogni caso l’esito più apprezzabile della Riforma sembra essere stato quello di aver spinto l’Europa verso l’indifferentismo religioso.
L’articolo, assai documentato e ricco di stimoli, che Massimo Rubboli dedica infine a Roger Williams, lo mostra come un «puritano precursore della laicità radicale», quale in effetti fu, soprattutto nel ritenere superata la nozione di un Dio che crea la sua nazione eletta. Non stupisce che la sua figura possa essere più gradita alla rivista: separazione fra Chiesa e Stato e libertà religiosa sono principi che abbiamo ben a cuore come protestanti (anche in Italia) e sui quali troviamo un produttivo terreno d’intesa con il pensiero più radicalmente laico. Ma pretendere da Lutero che si scrollasse di dosso l’eredità del suo tempo sarebbe davvero impresa ardua.
* Micromega n. 3/2017 – Almanacco di religione, pp. 222, euro 15,00.