Ricorre oggi la Giornata per la libertà di informazione e quest’anno porta con sé una novità sorprendente: l’Italia guadagna punti in fatto di libertà: dal 77 posto passa al 52° scalando 25 posizioni nella classifica annuale di Reporters sans Frontières, l’organizzazione per la libertà dell’informazione.
Una ripresa, se messa in paragone allo scivolone dello scorso anno quando il nostro paese era stato classificato al 77esimo posto. Malgrado la risalita, preoccupano ancora le «intimidazioni verbali o fisiche, le provocazioni e le minacce e le querele temerarie, le pressioni di gruppi mafiosi e organizzazioni criminali», ricorda Reporters.
«Gli evangelici italiani, solo qualche mese fa, hanno celebrato l’annuale ricorrenza del 17 febbraio: la «Festa della libertà»– ha dichiarato a Riforma.it il pastore Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) che tra i suoi servizi vede l’Agenzia di stampa “Nev”, il programma “Culto evangelico” di Rai Radio1 e la rubrica “Protestantesimo” di Rai2 –. L’occasione del 17 febbraio – prosegue Negro – ricorda l’inizio di un cammino di libertà e rinnova il nostro impegno per la libertà di tutti, da quando nel lontano 1848 i valdesi dopo secoli di persecuzione ottennero finalmente i diritti civili – anche se non ancora quelli religiosi. Oggi, 3 maggio, ricorre l’importante Giornata per la libertà d’informazione. La libertà ovviamente passa anche attraverso la comunicazione, quella corretta, vera, leale. Come siamo convinti che non saremo veramente liberi finché non sarà garantita la libertà di tutte e tutti di poter professare liberamente la propria fede, o anche di non professarne alcuna, senza discriminazioni, siamo altresì convinti che oggi non si possa essere veramente liberi senza il diritto di poter essere informati; dunque è necessario garantire tutte le tutele utili possibili e previste a cronisti e giornalisti per renderli liberi di poter informare senza censure, bavagli o intimidazioni».
Un bel testo su Martin Lutero si intitola «La parola scatenata», ricorda a Riforma.it anche il direttore del mensile Confronti, Claudio Paravati: «perché proprio di questo si trattò, di una Parola predicata, insegnata, stampata; che irruppe nell’Europa del Cinquecento. Quel gesto di libertà, che passò anche attraverso la Riforma protestante, di cui ricordiamo i 500 anni, ancora oggi ha bisogno della nostra attenzione. La censura, il controllo della parola pubblica – prosegue Paravati –, anche in forme più o meno esplicite di persecuzione di chi per professione racconta e indaga, i giornalisti, è purtroppo all’ordine del giorno. L’Italia, secondo l’ultimo rapporto di Reporters sans Frontiers, si colloca quest’anno al 52 posto nel mondo, eppure restiamo uno dei “paesi europei in cui c’è il maggior numero di giornalisti minacciati dalla mafia e da organizzazioni criminali”. A ciò si aggiungano i giornalisti costretti a vivere sotto scorta e il problema delle “querele temerarie”, uno strumento intimidatorio per zittire preventivamente l’informazione». Ciò che è in ballo, dice ancora Paravati: «non è una categoria professionale, ma la radice del dibattito pubblico: come Lutero mise in piazza, affiggendole sul portone della chiesa, le sue 95 tesi, rendendole così pubbliche, oggi la grande sfida è quella di avere una piazza pubblica libera, che sappia informare, raccontare e formare».
Uno degli attori del progetto "Riforma si fa in 4" è Radio Beckwith Evangelica, che trasmette dagli spazi di Villa Olanda a Luserna San Giovanni, e il cui direttore Matteo Scali sottolinea proprio la peculiartià della parola orale: «Si tratta di una giornata che, nel cinquecentenario della Riforma, assume per noi un significato ancora più profondo e attuale. La radio in quanto parola parlata è da sempre, globalmente, uno strumento che tende al pluralismo e alla libertà d'informazione. Nel nostro piccolo, siamo chiamati ogni giorno a fare la nostra parte, impegnandoci, anche nel lavoro giornalistico, nel cammino per la via della giustizia e per i sentieri dell'equità».
Oggi i rischi sono inediti, nuovi, come ad esempio le ormai note «fake news», le notizie false, che creano vere e proprie distorsioni dei fatti. A fronte di tutto ciò serve vigilare sulla libertà di stampa, e accompagnarla alle altre forme di libertà come la formazione, l’educazione, la parola e ancora la costruzione della comunità nella quale viviamo, come ricorda il Presidente del Senato, Pietro Grasso: «il diritto all’informazione è la premessa per l’esercizio delle libertà democratiche e deve essere oggetto di tutela ovunque nel mondo. Lo Stato di diritto – ha dichiarato solo ieri e in occasione di un presidio per la libertà di stampa a tutela dei giornalisti turchi tenutosi davanti a Montecitorio – richiede che le esigenze di sicurezza non prevalgano sui diritti fondamentali dei cittadini e sul diritto di espressione», opinione condivisa anche dalla presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini «tutti assieme dobbiamo riaffermare il principio che l’informazione libera è il fondamento di una società democratica: chi ha poco rispetto per il dissenso finisce per mettere in galera i giornalisti. L’Europa non può ignorare questa situazione».
Il rapporto di Reporters Sans Frontières a livello generale ricorda quanto mai come oggi la libertà di stampa sia «stata così minacciata» e non solo in Europa, l’organizzazione con base in Francia e che vigila sullo stato dell’informazione mondiale definisce «difficile» o «molto grave» la situazione in 72 paesi, fra cui Cina, Russia, India, quasi tutto il Medio Oriente, l’Asia centrale e l’America centrale, oltre che in due terzi dell’Africa.
Sono ventuno i paesi classificati a serio rischio: fra questi il Burundi 160° su 180, poi l’Egitto al 161° e il Bahrein al 164° posto nella clessifica mondiale. Ultima assoluta, come di consueto ormai negli ultimi anni, la Corea del Nord, preceduta da Turkmenistan ed Eritrea.
Grave la situazione anche in Messico al 147° posto e la Turchia al 155°. In testa alla classifica meritoria, invece e come di consueto, i Paesi del Nord Europa. Quest’anno tuttavia la Finlandia ha ceduto il primo posto, che deteneva ormai da 6 anni, alla Norvegia a causa di «pressioni politiche e conflitti d’interesse».