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Discutendo dell’ennesimo restyling di Riforma, anni fa qualcuno mi chiese se a un romano come me interessasse l’inserto L’eco delle Valli valdesi. La mia risposta fu: «Certo, sono le uniche pagine dove Riforma parla di sport!» Approfitto allora dell’articolo di Marco Rostan sullo stadio della Roma per vedere cosa possiamo dire e cosa possiamo imparare da questa vicenda. Ovviamente, da un punto di vista opposto. Proverò, allora, a dare un’opinione ragionata, che tenga conto del cuore giallorosso, ma che non mandi in vacanza il cervello.

Nel piano industriale della società statunitense che ha rilevato la Roma dalle banche è centrale la costruzione di uno stadio di proprietà. Bisogna inoltre prendere atto che lo stadio Olimpico non è più adatto per vedere il calcio oggi. È come andare al cinema, vedere e sentire male, sedersi su una sedia rotta: una volta era ammissibile, anzi affascinante, mentre oggi il cinema che non tiene conto dell’esperienza che vuole lo spettatore, chiude. Lo stesso vale per lo stadio.

E i “palazzinari”, i famigerati padroni della capitale? Vietando lo stadio, non si fermano, ammesso che si vogliano fermare. Al massimo si danneggia il costruttore scelto dalla società americana, rendendo felici quelli che non si sono aggiudicati l’appalto, che controllano alcuni media, che creano opinione e consenso, a prescindere dal colore o dalle stelle di chi amministra.

Certamente oggi uno dei punti è la necessaria riqualifica delle periferie. Ma con quali soldi? I comuni non hanno più le possibilità finanziarie che avevano fino agli anni ’90. L’unica possibilità è concedere pezzi di territorio a fondi stranieri, che siano fondi speculativi americani (è il caso della Roma) o fondi sovrani di dittature arabe (è il caso dell’Arsenal o del Paris Saint-Germain).

Si può scegliere anche di non fare concessioni, ma non ci sono proposte alternative in questa fase storica. Senza stadio della Roma, la zona abbandonata di Tor di Valle rimarrà quella zona franca di illegalità, spaccio, prostituzione. Il Comune non bonificherà le numerose discariche abusive che si vedono dalle foto satellitari di Google Maps, perché non ha soldi. I romani non si tasseranno di più per bonificare Tor di Valle (figurarsi!). Solo chi ha un’interesse economico a bonificare e riqualificare, lo farà.

È sbagliato? Se è sbagliato, in principio, proporre un investimento per guadagnarci, allora inutile discutere. Altrimenti andiamo avanti.

Dunque, il privato vuole guadagnarci e il pubblico deve subire? Assolutamente no. L’amministrazione pubblica deve vendere cara la pellaccia, come ha fatto l’ex sindaco Ignazio Marino, che ha ottenuto: un ponte pedonale sul Tevere fino alla stazione FS Magliana, uno svincolo dell’autostrada Roma-Fiumicino con un ponte strallato sul fiume, una nuova stazione sulla ferrovia concessa Roma-Lido, un prolungamento della metro B dalla fermata EUR Magliana (che è in superficie), un parco fluviale, diecimila nuovi alberi e 62 ettari di verde pubblico. Ma forse la più necessaria di tutte le opere richieste e ottenute da Marino è il raddoppio della Via del Mare, una delle strade più mortali d’Italia, la cui sistemazione è attesa da mezzo secolo. Sono tutte opere d’interesse pubblico e a carico totale del privato, che in cambio chiede una lunga concessione per lo sfruttamento commerciale dell’area, costruire tre grattacieli, progettati da Daniel Libeskind — il vincitore del concorso della nuovo grattacielo di New York che ha preso il posto delle Torri Gemelle — e lo stadio, progettato da Dan Meis. Senza stadio, niente di tutto questo si farà, perché non ci sono soldi pubblici né altri progetti in alternativa.

Sono almeno trent’anni che si parla di stadio della Roma. Questo, a mia memoria, è il progetto migliore ed è in stato avanzato di realizzazione. È un progetto dove il pubblico, per una volta, ha fatto il suo dovere e dove il privato non è il solito consorzio di imprenditori sostenuti da denaro pubblico, cui siamo stati abituati all’epoca delle grandi privatizzazioni. Un progetto controllatissimo perché non è “made in Italy”, e dello straniero, com’è noto, gli italiani non si fidano.

Non era certamente nelle intenzioni di Marco Rostan, ma la citazione degli sgherri di Don Rodrigo è quanto mai azzeccata per descrivere questa situazione. Perché Renzo e Lucia non potevano sposarsi? Perché lo Stadio della Roma non si può fare? Chi lo decide? Chi sono i Don Rodrigo di turno che si arrogano il diritto di bloccare un progetto serio, regolare, verificato, lanciato da cinque anni? Chi ritiene che, bloccando il progetto dello stadio a Tor di Valle, si salvaguarderanno l’ambiente e la città, a mio modesto parere sbaglia. E di grosso.

Si salvaguarderà soltanto il diritto di Don Rodrigo.

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