Hai messo le nostre colpe dinanzi a te; i nostri peccati segreti sotto la luce del tuo sguardo
Salmo 90, 8
Non c’è nulla di nascosto che non debba manifestarsi, né di segreto che non debba essere conosciuto e venire alla luce
Luca 8, 17
Il Salmo 90 si presenta come un Lamento per il peccato del popolo e contiene una riflessione profonda sulla brevità del tempo umano paragonato con l’eternità divina. Il contrasto tra i due tempi porta il salmista ad una preghiera di affidamento della nostra fugacità all’immensa potenza e grazia di Dio, perché Egli sia per noi rifugio, dimora, salvezza, redenzione durante il trascorso del tempo. L’essere umano è come «seminato/a sulla terra da Dio», cresce rigoglioso/a e poi nel vivere si restringe pian piano, finché diventa soltanto polvere. La sua fine è come il suo principio, poiché Dio ha tratto l’umanità dalla terra e consumato il ciclo breve del nostro tempo, lì ritorniamo, precipitiamo. Per Dio addirittura, i nostri mille anni sono come il giorno di ieri appena passato. Il Salmo del tempo racconta la nostra caducità aggravata dalla condizione di peccato che è sempre «dinanzi a noi», come una specie di documento di identità. Questo siamo, la caducità del nostro tempo che ci scivola addosso e lascia in noi pesanti tracce che sono «i nostri peccati dalla giovinezza al presente». L’autore del Salmo non si chiede quale possa essere l’origine di questa forza ostile che da dentro ci trascina nel tempo verso il peccato, si limita a costatare la realtà della condizione umana. Non si può nascondere, sotterrare o ignorare. La riflessione del Salmo si articola su due domande: chi è Dio e chi è l’uomo (come il Salmo 8 e come Giobbe 38). Il paragone non conduce alla disperazione ma alla speranza, perché? Perché Dio è misericordioso, si ricorda del suo patto, di quello che siamo noi esseri umani, tiene conto della nostra fragilità e ci accompagna per sorreggere la debolezza intrinseca della nostra natura: «ha messo le nostre colpe dinanzi a sè e guarda i nostri peccati sotto la luce del suo sguardo di grazia». Qui il Salmo diventa vera poesia, quando libera il nostro spirito dal peso mortale del nostro peccato, del nostro essere fugace, per spostare il nostro sguardo su El, su Adonai, colui che è dal principio e che dunque diventa per noi una forte dimora, un rifugio nel tempo della nostra tristezza, dove la sua presenza rimane, trasformando la nostra fugacità nel tempo in eternità perdonata e redenta.