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A volte uno più uno non fa due: fa di più. Parliamo di quegli studiosi che sono anche scrittori, scrittori che sono anche testimoni (Primo Levi); o studiosi che sanno lavorare a cavallo di discipline diverse (Z. Bauman). Scrittore (perché la sua prosa era bellissima) ma anche studioso in almeno due discipline era Tzvetan Todorov, di nascita bulgaro, poi trapiantatosi a Parigi (ancora un valore doppio). L’esito di queste «doppie militanze» è in genere straordinario, perché consente di illuminare la ricerca in una direzione con i riflessi di altri studi: i libri che ne derivano finiscono per essere delle creazioni che sfuggono a ogni catalogazione e sollecitano a proseguire la ricerca: pensiamo, per Levi, a I sommersi e i salvati.

Todorov, scomparso il 7 febbraio a 77 anni, è stato innanzitutto un linguista e semiologo di formazione strutturalista: ha affrontato le forme e la meccanica delle composizioni narrative e ha redatto (con O. Ducrot) il Dizionario enciclopedico delle scienze del linguaggio (1972, poi edito anche in Italia). Il suo interesse per la letteratura, tuttavia, non è stato rigidamente concentrato solo sulle strutture: con Michail Bachtin. Il principio dialogico (1981, poi Einaudi 1990: e ancora una volta ritorna il «due») ha affrontato l’opera di uno dei più importanti studiosi di Dostoevskij (e di Rabelais); la sua Letteratura fantastica (Garzanti 1977) ha aperto la strada agli studi, oggi ampiamente diffusi, sul soprannaturale e sul futuribile in letteratura, cercandone gli albori in Balzac come nelle Mille e una notte, in Freud e nei libri di Kafka. Uno dei suoi ultimi libri, La letteratura in pericolo (Garzanti 2008) affrontava il tema del valore della letteratura nella cultura e nella formazione dell’individuo, e dunque la necessità di tutelarla insegnandola bene.

La tensione etica era infatti al centro di tutto il lavoro del Todorov «storico delle idee» e filosofo, l’altro suo grande campo di studi. Anticipando molti, nel 1984 scrisse La conquista dell’America (Einaudi), chiarendo che quella che si sarebbe celebrata nel 1992 non era una «scoperta». Il passo successivo, rilevantissimo, sarà Di fronte all’estremo (Garzanti 1992): anche qui, come di fronte a un testo letterario, Todorov analizza e smonta i meccanismi, in questo caso dell’universo concentrazionario, dei gulag e dei lager. Ma utilizza anche, con proprietà e umiltà, la lezione degli altri: da Primo Levi a Hannah Arendt, da Gitta Sereny a Vassilij Grossman e al documentario Shoah di Claude Lanzmann.

Da loro lo studioso ricava indicazioni che servono, non solo retrospettivamente, ma anche per l’oggi: «i campi di concentramento – scrive – costituiscono evidentemente una situazione estrema, ma il mio interesse nei loro confronti nasce in particolare dal fatto che essi rivelano la verità di situazioni normali». Il paradosso dell’Europa è che «l’Europa è all’origine dei regimi totalitari, ma anche di quelli che personificano più o meno perfettamente l’ideale democratico». E allora, se anche il problema «non è di perdonare tutti indistintamente, (...), ma di non ripetere gli atti di inumanità», occorre chiedersi il perché di questi esiti contrapposti della cultura europea.

Todorov non ha mai rinnegato la razionalità e soprattutto ha rivendicato anche recentemente il proprio debito verso la cultura dell’Illuminismo (Lo spirito dell’Illuminismo, Garzanti 2007), ma sappiamo bene come esso abbia portato anche agli eccessi e ai rischi appunto, di totalitarismo. L’antidoto, secondo quest’uomo, capace di analizzare freddamente le strutture del Male ma anche di vedere una luce, laicamente, al fondo del tunnel, sta nelle esistenze di persone che hanno saputo opporsi. Non sono «né eroi né santi – scrive in Memoria del male, tentazione del bene (Garzanti 2001), una riflessione sulla fine del secolo XX – (...) sono individui fallibili», che hanno sofferto e hanno lasciato nelle loro opere un messaggio di speranza e una indicazione morale. Non è poco, oggi.

Le ultime riflessioni Todorov le ha fatte sui Nemici intimi della democrazia (Garzanti 2012), paventando con vista lunga i rischi del populismo, ma solo l’anno scorso ha offerto una galleria di ritratti (Resistenti. Storie di donne e uomini che hanno lottato per la giustizia – Garzanti), fra cui è compreso anche Nelson Mandela. Un lascito, un testamento da parte di uno studioso che ha saputo intrecciare, e far rifrangere, discipline diverse per capire, dagli atti e dalle idee, che cosa muove e travaglia l’animo umano e la storia.

Immagine: Ji-Elle – Üleslaadija oma töö, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16611146