Come appariva Roma agli occhi di Martin Lutero, nel 1510? Cosa possiamo tornare a scoprire oggi di quel che poteva vedere il giovane monaco agostiniano a quel tempo? Sono alcune delle domande da porsi se si vuole incominciare giocare con l'itinerario che è stato da poco lanciato all'interno dell'applicazione Gaia Smart, in collaborazione con la foresteria valdese di Roma. Di Gaia Smart avevamo parlato alcuni mesi fa quando venne lanciato un analogo percorso strutturato all'interno di Torre Pellice. Ne torniamo a parlare insieme a Caterina Pavan e Ivan Manca, due delle persone che si sono occupate di sviluppare il nuovo itinerario.
«Questo itinerario - racconta Caterina – nasce, su richiesta della Diaconia Valdese, con lo scopo di creare una passeggiata a tema che potesse promuvere la foresteria romana. La fonte principale è il testo Con Lutero nella Roma del 1510 scritto da Corinna Landi. Lei stessa ci ha accompagnati nella costruzione dell'itinerario e nella verifica di quello che avevamo scritto nella proposta di traccia iniziale. C'è una storia, che, come per tutti gli itinerari di Gaia Smart, accompagna nella passeggiata la persona che utilizza l'app e che ha come protagonista il monaco che ha accompagnato Lutero nel suo viaggio a Roma quando era ancora un giovane agostiniano, prima dell'inizio dela Riforma. Siamo nel 1510 e questi due pellegrini passeggiano per Roma perché hanno degli incarichi da svolgere. Noi insieme a loro vediamo gli edifici, le vie com'erano nel XVI secolo».
Se doveste dare un'anticipazione, c'è qualcosa che avete inserito e che può attrarre l'attenzione di chi volesse cimentarsi nel gioco?
«Una cosa interessante è che a quel tempo c'erano già delle vere e proprie guide turistiche, Mirabilia urbis Romae in particolare, che spesso mescolavano il mito con la realtà, tra reale e immaginario. Probabilmente anche questi due monaci utilizzavano una guida e ogni tanto nella storia ne riprendiamo delle parti».
Ivan, come si sta a cavallo tra reale e virtuale, senza perdersi?
«Cercando di utilizzare il dispositivo mobile, che può essere uno smartphone o un tablet, come supporto all'esperienza e non come unico mezzo per viverla. È molto delicato costruire un'esperienza che stia a cavallo tra virtuale e reale; i punti di contatto diventano proprio gli spazi reali e il loro contenuto: monumenti, piazze, palazzi che riportano immediatamente alla realtà, mentre il dispositivo e la storia arricchiscono il reale sovrapponendo un piano virtuale».
Se capisco bene questa applicazione funziona se si è fisicamente sul posto, non è un gioco che si può fare da casa. È come se noi, con il nostro corpo fossimo il veicolo del gioco stesso...
«Sì, esattamente così. Tutta l'esperienza si attiva in base a dove ci si trova, tappa per tappa. Si passa da una modalità d'interazione con un avatar in una storia completamente virtuale, ad un'esperienza in prima persona. Non siamo più avatar ma siamo noi ad interagire con la narrazione».
Da punto di vista tecnico è stato semplice tornare indietro di 500 anni?
«Abbiamo avuto la grande fortuna di collaborare con Corinna Landi, archeologa, che ci ha offerto contenuti, materiali ed esperienze già studiati. Il dato difficile è stato che, da non esperti di archeologia, ci siamo trovati in una città che offre molte distrazioni dal punto di vista turistico e ogni tanto ci veniva la tentazione di inserire contenuti che però ai tempi di Lutero non esistevano. Abbiamo dovuto trovare quindi un modo per ricostruire nella nostra mentre una città che di fatto non c'è praticamente più. È stato anche molto affascinante, però, perché abbiamo cercato di mantenere nella narrazione un linguaggio comprensibile che evitasse termini moderni ed inglesismi, provando ad immaginare due pellegrini alla scoperta di un luogo sconosciuto. Certo, hanno aiutato molto le stampe e le incisioni d'epoca che mostrano edifici spostati o la campagna dove adesso è tutto edificato. Nel racconto e negli approfondimenti insistiamo molto sul provare a guardare la città con gli occhi di Martin Lutero e del suo collega di pellegrinaggio».
Sul vostro sito ad un certo punto è scritto: «Il dispositivo mobile è fondamentale, ma non devi preoccuparti di controllarlo continuamente, sarà lui a richiamare la tua attenzione quando serve». Quanto è necessario anche per conoscere in modo diverso la città al di là dell'itinerario in sé?
«Noi offriamo uno spunto, una storia che inizia e finisce, un percorso con attività, giochi, punteggi. Alla base della nostra idea c'è però l'attenzione alla possibilità di perdersi in un luogo, per cui anche le indicazioni tra una tappa e l'altra non sempre sono (volutamente) precise, perché chi passeggia possa anche sbagliare strada e trovarsi in un punto imprevisto dove però cogliere dettagli che non avrebbe scoperto con una guida molto più precisa e statica. In questo modo ci sono la libertà e il piacere di dedicarsi del tempo e guardarsi attorno. Lo smartphone infatti si attiva solo nella tappa e non abbiamo bisogno di seguire una freccia sul monitor».
Questo è uno degli aspetti più affascinanti della modalità attraverso cui intendete il rapporto con la tecnologia: in un mondo in cui la tecnologia ci segue in modo costante e monitora in modo sempre più preciso ogni nostra azione la vostra tecnologia invita paradossalmente a perdersi..
«Sì, ed è un'idea che è stata fondante per Gaia Smart, nel senso che troppo spesso ci troviamo in situazioni in cui veniamo catturati dal virtuale, dalla tecnologia e da tutto quello che veicola. Il nostro obiettivo è trovare degli spunti per riappropriarci del reale utilizzando quella tecnologia tanto affascinante e utile, evitando però che questa fagociti la nostra attenzione e tutti i nostri sensi. Deve essere un supporto, un arricchimento; uno strumento e non un fine».