L’appuntamento di Trento (16-18 novembre), organizzato dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale con il coinvolgimento della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), non è stato solo un convegno storico; non è stata fatta solo teologia; si è parlato di una comune visione della memoria storica, ma anche delle sfide che attendono le Chiese del domani, confrontandosi al tempo stesso con i drammi dell’oggi e con le risposte che i credenti stanno dando.
In apertura, la pastora battista Anna Maffei è stata chiamata a condurre uno studio biblico sul testo della II Corinzi (5, 17: «Se uno è in Cristo, egli è una nuova creatura»): «L’architettura dello studio biblico – ci dice – parte da quanto il testo dice al versetto 14, dove Paolo chiarisce che “l’amore di Cristo ci costringe...”. Si tratta di interrogarci su che cosa ci muove: come singoli, come chiese e anche come chiese insieme. Paolo sostanzia la questione con una frase essenziale: “uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono”. Ogni generazione, a partire da quella apostolica, ha cercato dei linguaggi per dire, annunciare e vivere la croce di Cristo; così anche la nostra generazione, oggi, deve trovare i linguaggi per comunicare la notizia che Cristo è morto per noi. Dobbiamo trovare la nostra maniera di vivere, comprendere e comunicare agli altri il vangelo della morte e della resurrezione di Cristo. Nel Nuovo Testamento il linguaggio fondamentale è il linguaggio dell’amore; dall’amore di Cristo siamo “costretti” a vivere in una certa direzione le nostre relazioni: non nell’ansia di serbare strette le nostre identità, non nella preoccupazione di mantenere le nostre posizioni, ma secondo quella forza profonda e spirituale che ci rinnova e ci fa scegliere le giuste priorità, come singoli e come chiese».
Quella del dialogo è dunque una delle priorità, che però interroga le singole chiese: Fulvio Ferrario, decano della Facoltà valdese di Teologia, commenta sul sito www.chiesavaldese.org: «È importante utilizzare questo momento favorevole (...) per costruire strumenti di dialogo in grado di durare nel tempo e di resistere al logoramento di questo tipo di percorsi. Contemporaneamente, credo sia necessario un serio lavoro interno alle nostre chiese. Il cambiamento introdotto da uno stile ecumenico nel nostro modo di essere in Italia, infatti, non è affatto ovvio. Non credo si possa seriamente contestare che atteggiamenti di contrapposizione abbiano fortemente contribuito a delineare l’identità evangelica in Italia. Non è una confessione di colpa, bensì, alla luce della storia, una constatazione del tutto ovvia. Ora, però, molto è cambiato, o almeno sembra stia cambiando. Che cosa significa, per noi, essere una chiesa “altra” (e non semplicemente un’altra chiesa: su questo non cambiamo idea) in un contesto ecumenico?».
Il pastore Luca M. Negro, presidente della Fcei, chiarisce il carattere non accademico del Convegno: «Non si è trattato di un convegno per soli teologi “addetti ai lavori” ma per persone impegnate nell’ecumenismo alla “base” delle chiese: infatti era rivolto principalmente ai “delegati diocesani” per l’ecumenismo, in buona parte laici. Tra gli oltre trecento partecipanti, un bel gruppo di studenti di Teologia, perché le Facoltà teologiche di Trento hanno sospeso i corsi dando loro modo di partecipare. La partecipazione del “popolo di Dio” era poi particolarmente visibile alla celebrazione ecumenica – preparata dalla diocesi e dalla chiesa luterana di Bolzano/Trento – il venerdì sera nella cattedrale. Erano anni – prosegue Negro – che non vedevo un incontro ecumenico così intenso e partecipato. Mi ha ricordato un po’ l’incontro ecumenico europeo di Pasqua del 2001 a Strasburgo, quando fu lanciata la Charta Oecumenica, e questo per due motivi: da un lato per la capacità di tenere insieme l’ecumenismo del dialogo teologico con quello della testimonianza comune per la giustizia e la pace; dall’altro la voglia di impegnarsi concretamente a far avanzare le cose. Non è un caso che al termine dei lavori sia da parte cattolica sia da parte evangelica si è ribadito l’impegno a proseguire il cammino dotandosi finalmente di un organismo permanente di consultazione delle chiese: non sarà ancora un vero e proprio “consiglio delle chiese” (come ne esistono da decenni nella maggior parte dei paesi europei), ma un organismo più flessibile, una “consulta ecumenica”, a cui dovrebbero partecipare anche gli ortodossi. E l’anno prossimo è già previsto un convegno che prosegua la riflessione del 2016, questa volta non più a due voci ma a tre: cattolici, protestanti e ortodossi».
Naturalmente questo non significa nascondersi i problemi tuttora presenti lungo il cammino: «Da un lato il convegno è stato caratterizzato da una grande franchezza, con un dibattito “senza peli sulla lingua” su una serie di problemi aperti. D’altro lato è stato osservato, a mio avviso giustamente, che non dobbiamo sopravvalutare la portata di ciò che ancora ci divide. Come ha detto mons. Bruno Forte nella sua relazione, non è esatto continuare ad affermare che cattolici e protestanti si contrapporrebbero radicalmente: e non si riferiva solo ad alcuni nodi teologici (come quello della giustificazione per grazia) ma anche ai fondamenti dell’etica: tali e tante sono infatti le sfide che ci provengono dalla globalizzazione o dalla scienza, che spesso le diverse confessioni vedono mischiate le risposte possibili».
E una delle sfide del mondo di oggi, che è risuonata nel Convegno è stata quella dell’intervento a favore dei sofferenti. Dei «corridoi umanitari» hanno parlato Marco Gnavi (Comunità di S. Egidio) e la pastora Maria Bonafede (Fcei): «Sono stata molto favorevolmente colpita – dice Bonafede – dalla richiesta che, all’interno di un convegno teologico di tale portata si parlasse anche di questa esperienza. La mia valutazione è duplice: intanto si è potuto parlare bene del significato profondo dei “corridoi umanitari”, al di là dei fatti, ormai abbastanza noti. È stato importante che, a quasi un anno da quando è stato firmato il protocollo con lo Stato per la loro attivazione, si sia riusciti a fare arrivare circa 500 persone, come ci eravamo impegnati: 500 storie, tragedie, prospettive belle, persone che cominciano a trovare lavoro... Io e Gnavi abbiamo un po’ criticato la dizione “ecumenismo della carità”, come indicava il programma, ma poi ci siamo trovati a lavorare molto bene: si è parlato di lavoro comune delle Chiese, di amore che si traduce in opera. E poi, seconda constatazione, abbiamo visto che il modello avviato da Com. di S. Egidio e Fcei viene seguito da altri: cito la Federazione protestante di Francia e poi anche la Cei stessa, che avvierà un programma del genere in proprio: ci auguriamo naturalmente che possa essere condivisa in qualche modo, anche ecumenico».
Infine: la serata musicale, introdotta dal card. Walter Kasper e dal m° Nicola Sfredda, docente al Conservatorio di Mantova e autore di un libro edito dalla Claudiana sulla «musica nelle chiese della Riforma», nel corso della quale i presenti hanno potuto cogliere il passaggio dalla musica della liturgia monodica al corale luterano e al suo impiego successivo. «Trento ha una grande tradizione musicale, con un importante istituto di musica sacra – ci dice al telefono fra un’ora di lezione e l’altra –; la serata ha previsto un concerto con partecipazione di due cori e organo, che si è svolto a S.ta Maria Maggiore, la sede principale del Concilio, dove tuttora è presente una lapide contra haereticos, che è così diventata luogo di dialogo e ascolto reciproco. Si sono messi in evidenza i legami tra la musica della chiesa medievale e quello che poi è stato il repertorio della Riforma, in particolare per quello che fece Lutero nello studio della liturgia e della musica all’interno della liturgia, per cui egli riprese molti canti antichi traducendoli in tedesco e anche utilizzando le stesse melodie che erano già note, realizzando il coinvolgimento di tutta l’assemblea nel canto liturgico. Un esempio è l’inno che si deve a S. Ambrogio per Avvento e Natale Veni redemptor gentium, che nella versione di Lutero diventa Nun komm, der Heiden Heiland. Uno dei due cori (il “Feininger” diretto dal m° Roberto Gianotti) eseguiva la modalità medievale monodica, e l’altro (il coro “In dulci jubilo” diretto dal m° Tarcisio Battisti) ne eseguiva la versione polifonica, a volto dopo l’introduzione per organo (i preludi a corale, di cui i più celebri sono quelli di Bach, con il m° Stefano Rattini). Abbiamo poi ascoltato musiche del Salterio ginevrino, e un antico Salmo della Chiesa di Ginevra che viene eseguito anche nelle chiese cattoliche in italiano; e ancora: inni del Risveglio, i negro spiritual, i canti in cui gli schiavi ritrovavano il messaggio biblico della liberazione. L’ultimissimo canto, tedesco ma che si canta anche in Italia, è stato fatto cantare da tutta l’assemblea». La bellezza delle esecuzioni e il coinvolgimento che ne deriva resteranno a lungo nella mente dei partecipanti, insieme a tutti i contenuti del Convegno.