La settimana scorsa la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima “l’automatica attribuzione” del cognome paterno ai nuovi nati se i genitori hanno una volontà diversa. La legittimità costituzionale dell’attribuzione automatica del cognome paterno era stata sollevata dalla Corte di appello di Genova dopo che una coppia aveva chiesto di poter dare entrambi i cognomi al figlio. Nel 2014 la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo aveva condannato l’Italia per la discriminante assenza di legislazione in merito, e d’ora in poi i genitori potranno dare il doppio cognome ai figli. Abbiamo commentato la notizia con il pastore Paolo Ribet, il coordinatore del gruppo di lavoro Famiglie, matrimonio, unioni civili, nominata dalla Tavola valdese.
Cosa significa questa decisione?
«Sui giornali questa decisione è comparsa come un fulmine a ciel sereno, ma è il prodotto di una battaglia che dura già da diversi anni: una battaglia in cui si rivendica, di fatto, la parità di genere. La discendenza è sempre stata al maschile, come dice la parola stessa, “patronimico”. Nel momento in cui riconosciamo il ruolo della donna nella società, dobbiamo anche riconoscerlo nel nome che i figli portano. La cosa che colpisce e che la Corte costituzionale arrivi dove non arriva il Parlamento, e ciò che deve farci riflettere è il ritardo sistematico culturale del nostro organo legislativo: perché siano riconosciute libertà e diritti civili spesso bisogna attendere due generazioni. La legge sulla libertà di culto, per esempio, è statica da decine di anni, rimbalzata o ferma, così come altre leggi di avanzamento culturale che si impantanano e rimangono bloccate dalle procedure. Per fortuna i diritti vengono riconosciuti almeno dalla Corte costituzionale, la quale legge la Costituzione non alla luce del 1948, ma alla luce delle necessità di oggi».
L’aspetto giuridico però non basta, giusto?
«Esatto, infatti dall’altra parte occorre fare attenzione, perché personalmente vedo il pericolo di un ritorno al maschilismo. Ci sono dei passi avanti nella società, ma nel contempo delle reazioni e dei passi indietro nella vita privata: si pensi al numero dei femminicidi che continuano, e all’incapacità del maschio di comprendere la reale dignità della donna con cui condivide la sua vita. Anche l’elezione di Trump ci colpisce in questo senso: il suo atteggiamento maschilista è stato comunque votato, anche dalle donne, come oggetto di speranza per il futuro, che però rischia di lasciare in secondo piano la dignità».
Come si inserisce questa sentenza nel dibattito tra “famiglia tradizionale” e “nuove famiglie”?
«La decisione della Consulta costringerà il mondo politico a prendere atto della realtà e di una dimensione dell’attualità. Spesso si pensa che i diritti degli altri vadano a ledere i propri: se si riconosce a un altro il diritto alla dignità, io perdo qualcosa. Questo ragionamento sta nella testa di molte persone che si chiudono di fronte alle nuove realtà che emergono. Come società e anche come Chiesa Valdese dobbiamo ribadire, sostenere e affermare con forza che la libertà di tutti porta a un accrescimento della libertà di ognuno. Le libertà degli altri non limitano quelle del singolo. Solo quando tutti hanno la stessa dignità, la libertà è goduta in modo pieno e totale. Per le famiglie, queste notizie rappresentano dei passi avanti, mai dei passi indietro».
Per approfondire: vedi la scheda sul cambiamento del cognome